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Un'immagine dal video di presentazione del progetto Defy

Credete che i bambini siano stupidi?

Oltre all’educazione formale, che dispensa etichette, richiede certificazioni, impone una digitalizzazione non sempre utile, esistono esperienze che stimolano le risorse e l’autonomia di chi apprende. Da noi attività o laboratori affidati all’iniziativa dei singoli, altrove progetti per rendere le comunità in grado di ridisegnare un’esperienza educativa condivisa
31 Maggio, 2023
4 minuti di lettura

Ho conosciuto Abhijit Sinha diversi anni fa, al Global Junior Challenge di Roma, e avevamo scambiato due parole. Lui era stato premiato per quella sua idea di fare scuole di comunità, senza professori. Mica male! In sintesi: ci sono le persone con i loro interessi, le comunità con le loro economie, e un sapere diffuso e praticabile che oggi, grazie all’uso dei mezzi tecnologici, può essere trasmesso e scambiato con modalità di comunicazione e produzione prima impossibili. Nel piccolo gruppo locale, in un quartiere popolare o un villaggio indiano, si condividono di persona conoscenze e abilità, ma si possono avere anche collaborazioni e consulenze da tutto il mondo, in tempo reale.

sinha

Abhijit Sinha
Autore, attore, regista Abhijit Sinha è fondatore e CEO del progetto DEFY Enabling Communities to Re-imagine Education

I bambini, che hanno voglia di fare ed entusiasmo, insieme con altri bambini e con adulti che mettono a disposizione la loro capacità di coordinarli e l’esperienza, possono essere i protagonisti di un nuovo modo di fare scuola nel mondo presente tecnologico, globale e interconnesso, oltre l’apprendimento faticoso di un sapere preconfezionato, spesso vecchio e lontano.

«Pensate che i bambini siano stupidi?» domanda Abhijit in un video che introduce Project Defy.

Ci penso. Lavoro con i bambini da una vita, quelli veri, non i cuccioli di consumatori attorno alle cui solitudini davanti agli schermi si sono raccontate favole di generazioni “digitali” che hanno acchiappato un’opinione pubblica distratta, superficiale, in cerca di facili alibi. Per decenni durante le mie esperienze nelle scuole (per carità, da esterno, senza poi doverci presentare agli esami) ho visto i bambini fare cose bellissime, con impegno e passione, collaborando l’uno con l’altro: senza basarsi su quello che io insegnavo, e anzi, da animatore, quelle poche volte che “insegnavo”, ridevano!, ma stimolati a tirare fuori le risorse da se stessi, dal gruppo, dal gioco e dalla cultura comune. Insieme, senza l’ansia di primeggiare, con la soddisfazione vera e profonda di fare le cose bene, arrivavano immancabilmente a sintesi di qualità assoluta, con l’adulto educatore arbitro, garante, testimone, che imparava da loro.

Stimoli giusti per far emergere capacità e creatività

Ho cercato di raccontarlo, in pubblicazioni, siti web, filmati, prodotti multimediali, e forse non l’ho fatto bene, perché ho trovato scarsi riscontri nell’istituzione scuola. Cioè: i bambini, per loro natura esseri multimediali (definizione efficacissima di Roberto Maragliano, 1995) in certe attività, anche quelle meravigliose di tante maestre che purtroppo faticano a farsi conoscere fuori dalle loro classi: normalmente scrivono libri, realizzano video, fanno ricerca scientifica, producono informazione e cultura, e trovano facilmente l’armonia tra corpo, mente, gioco, natura, tecnologia.

Ma l’istituzione scuola dei deficit d’attenzione, dei bisogni educativi speciali, del bullismo, di LIM e tablet e ora dell’AI, a questi esempi illuminanti sembra non prestare attenzione… e avanti con i corsi di aggiornamento a raffica indotti dal mercato, le certificazioni di ogni minima “competenza”, la digitalizzazione a senso unico e forzata, e soprattutto stress e burocrazia.

Oltre la retorica parolaia e il disagio del “digitale”, oltre i recinti individualistici e competitivi dei social network – in cui per sguazzarci “gratis” consegniamo tutti i dati che ormai definiscono, circoscrivono, indirizzano le nostre vite, percepite (ma siamo noi che in realtà spontaneamente ci consegniamo) sempre più nella mani di altri, lontani, potentissimi, inconoscibili – c’è una tecnologia meravigliosa, facile, poderosa, accessibile a tutti, che possiamo usare in modo attivo per riprenderci il gusto di conoscere, vivere, fare, a partire da noi esseri umani viventi e senzienti.

 

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Saperi condivisi, tecnologie usate e non subite

Abhijit è tra i miei contatti su LinkedIn. Vedo che procede con il suo progetto, e tra un po’ andrà in Africa. Gli mandando un po’ di link di cose mie e gli chiedo se gli va di fare una chiacchierata. Così, tanto tempo dopo l’incontro a Roma, ci ritroviamo in video chat, e la sensazione è di un incontro vero, di una forte sintonia. Ci diciamo che, di fronte a un’educazione ufficiale sempre più incerta, che spesso rincorre a tentoni proposte commerciali travestite da innovazione tecnologica, forse è proprio dai bambini che possono arrivare le soluzioni. Se non torniamo come bambini, non entreremo nel Regno dei Cieli!

Il project Defy non trova solo convergenze italiane eccellenti e sottovalutate come l’animazione teatrale, don Milani, Rodari, i maestri Lodi e Manzi, gente in fondo un po’ strana che andava controcorrente.

Ancora nel 2001 (Odissea nello Spazio!) Pekka Himanen – uno del giro di Linus Torvalds, autore della prima versione di Linux, non propriamente trogloditi tecnologici! – nel libro L’etica Hacker e lo Spirito dell’età dell’Informazione (Feltrinelli, 2003) ammoniva: la rivoluzione digitale è partita dal basso, con il personal computer e il Web, secondo un modello orizzontale e condiviso che un po’ richiama l’accademia di Platone, dove attorno a un maestro tutti concorrono a produrre, insieme, una sapere vivo e sempre nuovo. Poi però l’industria e il mercato hanno ridistribuito alle masse queste nuove tecnologie usando i metodi e i canali tradizionali, la “scuola monastica”, in cui il maestro detiene un sapere già stabilito e codificato, che gli allievi devono solo apprendere. Ma come si fa a “certificare” una conoscenza ancora in costruzione, che sta letteralmente nascendo? Da cui un cortocircuito culturale e sociale planetario, la rivoluzione possibile di un’informazione orizzontale prodotta e gestita da tutti che diventa una materia di studio per cui qualcuno, non necessariamente un protagonista del cambiamento, più facilmente un burocrate, o un venditore, si mette a rilasciare diplomi e patenti. Il consumo, come nella vecchia società industriale, torna l’unico criterio di riferimento, si ricicla di continuo l’esistente ribattezzandolo con numeri strani futuristici, due, quattro, cinque punto zero, e il disagio diffuso diventa la nota dominante.

 

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Oggi molti sembrano rassegnati a un “futuro” che assomiglia ai peggiori incubi della fantascienza anni 1950, prima dei PC, prima del Web, con noi comuni mortali sempre più piccoli e impotenti, il Grande Fratello e adesso anche l’onnipotente Intelligenza artificiale (che avrebbe scritto questo articolo molto più in fretta e meglio di me, magari però con altri argomenti e intenzioni!).

Da gente come Abhijit invece un piccolo e fortissimo messaggio di gioia, speranza, cittadinanza attiva, per un futuro che abbiamo tutti i mezzi per costruire noi, tutti insieme.

Mielizia

Saperenetwork è...

Paolo Beneventi
Paolo Beneventi
Alcuni libri: I bambini e l’ambiente, 2009; Nuova guida di animazione teatrale (con David Conati), 2010; Technology and the New Generation of Active Citizens, 2018; I Pianeti Raccontati, 2019; Il bambino che diceva le bugie, 2020. Video: La Cruzada Teatral, 2007, Costruiamo insieme il Museo Virtuale dei Piccoli Animali, 2014; I film in tasca, 2017; Continuavano a chiamarlo Don Santino, film e backstage, 2018.
Mielizia
Mielizia
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