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Da scarti alimentari a ecopelle, il nuovo “tempo delle mele” è nella moda

Un materiale innovativo, 100% vegano, resistente all'usura e ai raggi UV, con notevoli capacità performative e qualitative. È la nuova frontiera dell'ecopelle, e viene dagli scarti industriali delle mele. Un'alternativa alla pelle animale che molte aziende italiane stanno utilizzando con successo
15 Giugno, 2021
2 minuti di lettura

Da qualche anno a queste parte, tra i materiali di recupero usati nella moda, ci sono anche le mele. In Italia, diversi brand impiegano gli scarti di questo frutto per la realizzazione di abiti e accessori in “ecopelle”In questo campo, la più conosciuta è AppleSkin e proviene dall’Alto Adige: si tratta di una similpelle, appunto, ottenuta dalla lavorazione degli scarti industriali delle mele. Si presenta come una straordinaria alternativa alla pelle animale, che si integra con il modello dell’economia circolare. Un materiale innovativo, con interessanti caratteristiche qualitative e performanti. 100% vegana, resistente all’usura e ai raggi UV, AppleSkin è la similpelle più naturale che esista oggi sul mercato.

 

Hannes Parth, Ceo di Frumat ha brevettato Appleskin a Bolzano

Ecopelle, carta, fazzoletti e rotoli da cucina

È stata brevettata da Frumat, azienda di Bolzano che da anni sperimenta le potenzialità del più diffuso frutto altoatesino. Grazie al brevetto, Frumat ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra i quali il Technology & Innovation Award ai Green Carpet Fashion Award 2018Come ha raccontato ai giornali Hannes Parth, Ceo dell’azienda, la scoperta di Apple Skin è stata causale, come spesso accade nel mondo della ricerca: mentre tentavano di ottenere una colla naturale dagli scarti delle mele, cercando di rimuovere i residui dai macchinari, si sono resi conto che si trattava di una pellicola resistente, simile alla pelle. AppleSkin proviene da mele della filiera biologica ed è costituita principalmente da residui organici come gambi, semi, bucce di mela e fibre.

Il 50%, quindi, proviene dagli scarti delle mele provenienti da Bolzano, da cui si ricava un impasto denso composto di fibre e applicato su un tessuto di supporto.

È una continuazione della famosa Pellemela, realizzata grazie alle intuizioni dell’ingegnere altoatesino Alberto Volcan e non è il primo prodotto sviluppato a partire dai residui delle mele: prima della Pellemela, infatti, c’era la Cartamela, la quale, come dice il nome, è una carta ideata per fazzoletti e rotoli da cucina. Oggi, come detto, il brevetto appartiene a Frumat, che ne produce 30 tonnellate al mese. 

 

Guarda il TEDxTrento “Materia Prima due volte” di Hannes Parth 

Dai vestiti all’abbigliamento sportivo: la nuova vita delle mele

AppleSkin è usata in diversi tipi di indumenti. Dai vestiti alle borse (prodotte dal brand lombardo Miomojo), fino alle scarpe (il brand Womsh produce le sneakers) ma la case history più interessante è sicuramente quella di OneMore, la prima azienda italiana che ha scelto di impiegare AppleSkin nell’ambito dell’abbigliamento sportivo, in particolare nello sci. «Con AppleSkin abbiamo trovato un innovativo materiale in grado di offrire tessuti particolarmente performanti, con ottimi risultati sia dal punto di vista tecnico che di applicazioni creative ed estetiche», spiega Helga Lazzarino, marketing manager di OneMore.

«L’abbiamo introdotta nel 2019, nel secondo anno di attività dell’azienda e, per restare fedele alla nostra vocazione ecologica, abbiamo rinunciato all’utilizzo di piuma e pelliccia, a favore di materiali sintetici o riciclati» continua Lazzarino.

«Diversi inserti e particolari dei capi d’abbigliamento, infatti, sono in AppleSkin e a questo materiale alterniamo imbottiture derivanti dal riciclo di bottiglie di plastica o fibre e filati innovativi come econyl, un filo di nylon rigenerato che ha le stesse caratteristiche di quello da fonte vergine ma che può essere rigenerato, ricreato e rimodellato all’infinito». La richiesta sta crescendo, anche grazie all’e-commerce e alla sensibilità sviluppatasi in seguito all’inizio della pandemia. «Il tema del vestire sostenibile è sempre più ricercato. Certo, ho visto persone che hanno comprato i nostri capi e poi si sono fatti aggiungere la pelliccia. Ma non fanno testo: ormai il trend è cambiato».

 

 

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