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La camminata contro il terricidio è stata organizzata dalla Rete Appenninica Femminista e dalla Brigata Solidarietà Donne da Sasso Marconi ad Altedo, nel Bolognese (Foto: Giuditta Pellegrini)
Le donne indigene argentine ad aprile hanno marciato a Buenos Aires per il riconoscimento del "terricidio" come crimine contro l'umanità. Un concetto condiviso dalla Rete Appenninica Femminista, per la quale il termine racchiude in sé tutte le forme di violenza e oppressione. La loro manifestazione da Sasso Marconi (Bo)
Una camminata femminista ed ecologista, dagli Appennini alla pianura bolognese, ha attraversato, circa un mese fa, i luoghi simbolo della devastazione dell’uomo.Organizzata dalla Rete Appenninica Femminista (Raffa) e dalla Brigata Solidarietà Donne, la camminata è partita da Sasso Marconi il sabato 22 maggio e ha avuto come tappa finale le risaie di Altedo domenica 23. Lo slogan scelto “Camminiamo insieme per proteggere la vita sulla terra, basta terricidio”. «L’idea di questa camminata è nata da un incontro con l’artista argentina Mariana Chiesa che ci ha raccontato della lotta delle Donne indigene per il Buon Vivere, che si sono messe in cammino ad aprile per portare a Buenos Aires l’istanza che il Terricidio debba essere riconosciuto come crimine contro l’umanità e contro la terra», racconta Camilla, una delle organizzatrici della camminata bolognese e tra le fondatrici della Rete Appenninica Femminista. Le fa eco Elena:
Vogliamo far sentire alta la voce delle delle donne indigene, condividere le loro lotte e i loro valori, seguendo il loro esempio. Dobbiamo sentirci legati alla madre terra come creature, non come dominatori e sfruttatori. Le lotte femministe dovrebbero sempre andare di pari passo con quelle ecologiste.
Una camminata femminista ed ecologista, dagli Appennini alla pianura bolognese, ha attraversato, circa un mese fa, i luoghi simbolo della devastazione dell’uomo (Foto: Giuditta Pellegrini)
Lo slogan scelto è stato “Camminiamo insieme per proteggere la vita sulla terra, basta terricidio” (Foto: Giuditta Pellegrini)
La Rete Appenninica Femminista
Le femministe insistono sull’importanza di riconoscere il crimine del “terricidio”, termine appunto coniato dalle donne argentine. «Il termine terricidio racchiude in sé tutte le forme di sterminio: genocidio delle popolazioni indigene che vivono in connessione profonda con la natura; ecocidio, cioè distruzione della natura e di tutte le forme di vita animali e vegetali; femminicidio inteso come l’oppressione, la violenza, lo stupro e l’uccisione delle donne da parte del sistema misogino e patriarcale; epistemicidio, cioè eliminazione di tutti i saperi altri dalla scienza, dalla medicina e dalla cultura occidentale, bianca, dominante», spiega Elena con amarezza: «Qui da noi,l’epistemicidio è quasi completo, siamo arrivati alla fine. Tanti saperi sono andati perduti». Non a caso infatti la Rete Appenninica Femminista in questi mesi ha organizzato, oltre alla camminata, anche attività di autoformazione sulla ricerca e uso delle piante spontanee.Ma che cos’è la Raffa? «Una realtà nuova, nata il 29 settembre 2020, dal bisogno di lesbiche e femministe, abitanti o giunte da poco sul territorio appenninico, di condividere la propria lotta e socialità, di spezzare l’isolamento tipico delle montagne, e portare avanti l’elaborazione femminista. Al momento nella Raffa siamo una trentina di persone attive, distribuite principalmente attorno alla valle del Reno», racconta Camilla. «Una rete nata per proteggere le nostre montagne – aggiunge Elena – per fare massa critica, per portare avanti la lotta contro il patriarcato, per il femminismo e per la madre terra. In questi mesi abbiamo intrecciato alleanze con tante realtà: la Brigata Solidarietà Donne, La Filanda, le Mujeres Libres, La Casona Ponticelli, le Mondine, Extinction rebellion e Armonie. Senza di loro la camminata dello scorso mese non sarebbe stata quello che è stata!».
Il termine terricidio racchiude in sé tutte le forme di sterminio: genocidio, ecocidio, femminicidio ed epistemicidio. Foto di Giuditta Pellegrini
La Rete Appenninica Femminista in questi mesi ha organizzato, oltre alla camminata, anche attività di autoformazione sulla ricerca e uso delle piante spontanee. Foto di Giuditta Pellegrini
Foto di Giuditta Pellegrini
In marcia contro il terricidio
Durante la marcia le attiviste hanno denunciato tutti quei progetti che causano distruzione, perdita di biodiversità, aumento di CO2 e di polveri sottili, inquinamento delle acque: «Ci riferiamo al progetto di costruzione di un nuovo impianto di risalita nel Corno alle Scale, che minaccia una vasta area protetta con la maggior biodiversità della regione Emilia- Romagna. Ci riferiamo ai prati di Caprara, a Bologna, dove un progetto vuole realizzare oltre mille alloggi e migliaia di metri quadrati di terziario e commercio. Ci riferiamo al disastro ambientale nel fiume Reno, causato nel 2020 da uno svaso della diga di Pavana, effettuato da Enel Green Power». Infine la risaia di Altedo: si tratta dell’ultima risaia rimasta in territorio bolognese, e dove dovrebbe sorgere un nuovo enorme polo logistico (complessivamente 100 ettari) in un’area umida protetta che causerà danni irreversibili a flora e fauna autoctona. Elena, Camilla e le attiviste della Rete Appenninica Femminista riflettono:
Siamo consapevoli che noi tutti esseri umani dipendiamo interamente dalla salute della nostra terra, dalla salubrità dell’aria, dell’acqua e del suolo. Siamo quindi consapevoli che è necessario rivedere drasticamente i nostri stili di vita che al momento hanno un effetto devastante soprattutto sull’esistenza di chi non vive in occidente.
Durante la marcia le attiviste hanno denunciato tutti quei progetti che causano distruzione, perdita di biodiversità, aumento di CO2 e di polveri sottili, inquinamento delle acque. Foto di Giuditta Pellegrini