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Il giuramento di Donald Trump
Foto: White House

“Drill, baby, drill”. I tre David, The Donald e la nostra casa che brucia

Ciò che abbiamo visto durante le scorse ore a Capitol Hill sembra un film distopico di bassa qualità. Invece è quanto accade nella realtà, dove assurdo e quotidiano si sovrappongono. Come in una pellicola di David Lynch ma senza il suo sofisticato onirismo
22 Gennaio, 2025
5 minuti di lettura

I film di David Lynch sono pieni di luoghi, date, coincidenze, dettagli, fatti, oggetti che appaiono, spariscono, rimbombano nella mente e negli occhi, ritornano: lettere di carta nelle unghie, sorridenti vecchietti malefici, scatole blu, scarpette rosse, cowboy, strade perdute, pavimenti a zig zag, torte di ciliegie e tazze di caffè, velluti rossi o blu e agenti dell’Fbi che appaiono e scompaiono. Enigmatici pretesti per convogliare l’attenzione su una scia narrativa che sembra decisiva, quella giusta, da seguire, ma che di lì a poco si dissolve, sparisce, si rivela inutile, inconsistente, puro orpello, illusione, imbroglio.

Carrellata ipnotica

Chissà se nella sua postmoderna, ipnotica carrellata di postmoderni MacGuffin (post)hitchcockiani, il grande regista avesse contemplato, e dunque in qualche suo bizzarro modo messo in atto, l’ipotesi di andarsene, come ha fatto, pochi giorni prima del suo settantottesimo compleanno, cioè il fatidico 20 gennaio, Martin Luther King Day, coinciso quest’anno, mentre Los Angeles è in fiamme, con la sua Mulholland Drive incenerita, con il Blue Monday e soprattutto con il (re)insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il secondo dopo quello del 2017.

Apparizioni lynchiane

Quello che abbiamo visto e ascoltato il 20 gennaio in diretta da Capitol Hill, lo stesso luogo che fu assaltato nel gennaio 2021 da improbabili neo sciamani ed esaltati vari, fomentati dalla diceria trumpiana dei presunti brogli elettorali (ci furono, è bene ricordare, ben cinque morti), è cinematograficamente un incubo distopico di bassa qualità, lontano dai complessi, sofisticati onirismi del Maestro Lynch. Il Tycoon dai capelli color Fanta con tutta la sua squadra: i personaggi, le “persone” nell’accezione teatrale, ci sono tutti, maschere perturbanti, figuranti diventati protagonisti, apparizioni lynchiane come Frank Booth, il criminale inalatore di gas interpretato da Dennis Hopper in Velluto Blu, Bobby Peru, il sadico Willem Defoe di Cuore Selvaggio, Bob di Twin Peaks, l’inquietante Cowboy di Mulholland Drive (si è visto davvero, inquadrato mentre masticava platealmente un chewing gum, un cowboy con tanto di cappello durante la cerimonia).

Bitcoin, fascisti su Marte e lo stop allo ius soli

Solo che, laddove nei capolavori lynchiani esistevano e transitavano in immagini per ricordarci che non avevano senso, qui, nella realtà, pretendono di avere senso e funzione e dettano legge. Bitcoin personali coniati come gli antichi sovrani, insulti alla precedente amministrazione, dirigenti nominati dal predecessore espulsi e derisi via X, Golfo del Messico e Golfo d’America, Canale di Panama da «riprendere», flussi illegali da bloccare, migranti da respingere in Messico con la forza. E poi, fine dello ius soli, uscita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità («si spendono troppi soldi», ha detto il neo presidente, e «i nostri bambini saranno sani e senza malattie, scompariranno le malattie croniche»), militari no vax rimessi in servizio, assalitori di Capitol Hill graziati (ovviamente), astronauti su Marte, abolizione della censura (si legge: via libera alle fake news, alla propaganda violenta, alle bugie istituzionalizzate), il saluto romano del fascista su Marte Elon Musk, il codazzo di tecno plutocrati Bezos, Zuckerberg e co.

La retorica del declino

E poi, come nemmeno Bobby Peru in Cuore Selvaggio, ecco arrivare il fatidico urlo «Drill, baby, drill»: l’uscita dagli accordi sul clima, come già nel 2017, perché gli Usa «devono fermare il declino e tornare a essere una grande potenza industriale, e avremo più petrolio e gas naturale di ogni paese, saremo l’invidia di ogni nazione». Delirio di onnipotenza, inni e cantanti smielati, tecnocrati saltati in fretta e furia sul carro infuocato del nuovo vincente, che inneggia, da buon populista, alla nuova Golden Age, era dell’eccellenza e del merito (parole abusate a ogni latitudine da almeno 10 anni), perché «vincerò (sic) come non ho mai vinto prima».

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Nel frattempo, mentre un susseguirsi di «sovranità, sicurezza, pericolo, tutela, confini, proteggere, protezione, criminali» ha introdotto la teoria secondo cui il governo democratico avrebbe mancato di tutelare i confini e la sicurezza nazionale, fallendo quindi sulla «sicurezza», con le conseguenze «viste a Los Angeles in questi giorni e prima in Carolina con l’uragano», ovviamente i cambiamenti climatici non sono stati minimamente nominati.

Siccità sotto censura

La parola «siccità», causa della tragedia di fuoco che devastato Los Angeles (ancora sotto scacco e nel terrore dei venti che potrebbero creare nuovi focolai), non è stata minimamente contemplata. D’altronde poteva essere altrimenti date le premesse negazioniste di «drill, baby, drill»? Vuoi vedere che, in qualche agghiacciante, delirante modo, adesso anche la colpa degli incendi è da imputarsi ai migranti, alle teorie gender, alle donne che non fanno figli e non a cambiamento climatico, sfruttamento del suolo e spaventosi tagli alla spesa pubblica?

La profezia del Duca Bianco

Mentre la nostra casa va a fuoco, è forse troppo facile richiamare alla mente, per assonanza, uno dei titoli lynchiani più famosi, Fuoco, cammina con me, prequel di Twin Peaks, nel quale David Bowie (scomparso anche lui in un gennaio, e anche lui prima di un suo compleanno, nel 2016) interpretava il misterioso agente dell’FBI Philip Jeffries, «perso da tempo» e poi riapparso e riscomparso. Nella folgorante scena che lo vede, una volta riemerso da un ascensore (vestito di bianco come si addice al personaggio bowiano del Thin White Duke) duettare proprio con l’altro David (Lynch oltre ad essere regista interpreta qui anche il ruolo di Gordon Cole, superiore dell’agente Cooper e con notevoli problemi di udito), Bowie/Jeffries rivela ai tre “colleghi” presenti che «è tutto un sogno, viviamo dentro a un sogno».

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I due David avevano già collaborato, col Duca Bianco in veste di musicista per la colonna sonora di Strade Perdute, il pezzo era I am deranged, il più significativo della colonna sonora. Più o meno negli stessi anni Bowie incide e pubblica I’m afraid of Americans, canzone quanto mai attuale; accompagnato da un video influenzato da Taxi Driver di Scorsese, il brano (nel quale è forte l’influenza di Trent Reznor che vi collabora insieme ai suoi Nine Inch Nails) è un racconto beffardo e sardonico dei vizi dell’americano medio, e dei rischi dell’egemonia culturale.

Il terzo David

C’è un altro David, infine, che va ricordato. David Foster Wallace, il genio letterario che ha scelto di lasciarci troppo presto, nel 2008. Nel celebre saggio David Lynch non perde la testa del 1996, Wallace interpretava i temi lynchiani, in particolare quello del Male, da sempre ricorrente, come «un particolare tipo di ironia in cui il molto macabro e il molto banale si combinano in maniera tale da rivelare la costante presenza del primo all’interno del secondo». Quotidiano e orrore si sfiorano, si intersecano, si rivelano l’uno all’altro anche attraverso oggetti, gesti, manie, apparizioni. L’instabilità, la doppia natura, nota Wallace, è la cifra stilistica di Lynch, l’affettuoso, affabile padre di famiglia Leland Palmer che allo specchio è il mostruoso Bob, i due teneri vecchietti malefici, Betty/Diane in Mulholland Drive, le molte Laura Dern in Inland Empire, Fred/Pete in Lost Highways. Scrive Wallace: «Di fatto, nella prospettiva morale lynchiana, non ha molto senso parlare dell’Oscurità o della Luce isolandole l’una dall’altra. Non è semplicemente che il bene implichi il male, ma che ciò che è cattivo è contenuto all’interno di ciò che è buono, è incluso nel suo codice genetico».

Chi si occuperà dei nostri incubi

Nel gioco di specchi contorti che abbiamo visto il 20 gennaio a Capitol Hill, le superfici e le apparenze sono lucide, pacchianamente stirate, azzimate, lustrate e procedono all’unisono con urla gutturali, insulti strazianti, odii strumentali. Di fatto non c’è nulla della maestria, della raffinata e perturbante profondità e del fascino degli incubi lynchiani. L’unheimlich freudiano che abbiamo sotto agli occhi è volgare, banale, prevedibile. David Lynch diceva di non capire perché le persone si ostinassero a cercare un senso nell’arte, dato che la vita stessa è priva di senso. Con i suoi film ci ha esortato a non avere paura dell’oscurità, che ha lo stesso codice genetico, per dirla con Wallace, della luce. Ora che chi governa (quasi ovunque) predica la paura del buio (del diverso: si pensi a un’opera bizzarra e commovente come The Elephant Man), e nega la distruzione del Pianeta, ci ritroviamo senza Lynch, e senza nessuno dei tre David, che possa occuparsi dei nostri incubi. Lui, il David Maestro di cinema e di meditazione, esortava anche, sempre, a guardare la ciambella (i donut che tanto amava) e non il buco.

Ricordiamocene, prima di rivederlo tra 25 anni, nei nostri sogni.

Mielizia

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Valentina Gentile
Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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