Il 23 settembre è di nuovo Sciopero Globale per il Clima, organizzato dai giovani dei Fridays for Future. Nella foto, il corteo di Roma, in piazza della Repubblica (Foto: Rosy Battaglia)

I Fridays For Future si riprendono le piazze e la parola

Sono giovani e meno giovani, studenti, studentesse, insegnanti, persone di ogni età e professione. Insieme per la giustizia climatica che è anche giustizia sociale. E che è stata comodamente ignorata dalla politica internazionale e nazionale
23 Settembre, 2022
2 minuti di lettura

Sconti per i treni, stop ai voli a breve percorrenza e ai jet privati, conversione (vera) alle rinnovabili, tetto ai prezzi dell’energia, stop ai sussidi dannosi (i famigerati incentivi e detrazioni, “tristemente” noti come Sad), no ai rigassificatori e gasdotti. Una “paperoniale”, tassa straordinaria del 3% su tutti i portafogli finanziari con valore superiore a 880.000 euro. E programmi statali di lavoro garantito e di qualità, perché «se peggiora il clima, peggiora anche il lavoro». Eccoli, i Fridays For Future, con le loro richieste e j’accuse.

Sono tornati a riempire le piazze di tutto il mondo, 70 città italiane e 7.500 città del resto del Globo, in questo venerdì 23 settembre che nel nostro Paese arriva a due giorni dalle elezioni di domenica 25 e a una manciata di giorni dalla strage climatica delle Marche.

Giovani, giovanissimi, come sempre, ma non solo. Ci sono anche adulti, genitori e non genitori, insegnanti, persone di tutte le età e occupazioni, preoccupati e sanamente arrabbiati, in un momento storico in cui tra stravolgimenti climatici, guerre e conflitti (l’Ucraina non è la sola, basterebbe ricordarsi di tanto in tanto anche solo degli ultimi fatti nel Corno d’Africa, nel Myanmar, nel vicino Medio Oriente…) la Storia sembra correre sempre più verso un baratro oscuro.

 

 

Sono arrabbiati, tutti, perché la guerra in Ucraina è diventata, per la civile Europa, una comoda scusa per rallentare gli investimenti sulle rinnovabili, e rischia di mettere a serio rischio le strategie agricole dell’Ue, con somma gioia dei tanti lobbisti presenti a Bruxelles.

E sono arrabbiati, i manifestanti italiani, che hanno dovuto assistere ad una campagna elettorale nella quale i temi ambientali, nonostante la concomitanza con le stragi della Marmolada e delle Marche e con la devastante siccità dell’estate appena trascorsa, sono stati pressoché assenti.

«Lo scopo della protesta – sottolineano i portavoce FFF – è proprio quello di riportare la crisi climatica e le soluzioni per affrontarla, grandi assenti dal dibattito elettorale, al centro dell’attenzione pubblica».

 

 

 

 

Un’assenza che va di pari passo con la cecità e le parole di circostanza, prive di ogni reale volontà progettuale e d’azione, del Presidente del Consiglio Mario Draghi, lo statista dell’anno il cui governo davanti alla crisi energetica riaccende il carbone invece che fare veri passi in avanti con le rinnovabili. «

Se ci bloccano il futuro noi blocchiamo la città», scandiscono in coro gli studenti e le studentesse. E hanno ragione.

Qual è il futuro? Basta dare uno sguardo al resto d’Europa e del mondo. Nei paesi ricchi è corsa alle armi, con aumenti delle spese pubbliche che sottraggono fondi a welfare, salute, istruzione e rinnovabili. Come nella Germania della verde Annalena Baerbock, la cui elezione tante speranze aveva suscitato, e che si sta invece dimostrando una Ministra degli Esteri molto poco pacifista. E d’altra parte da noi c’è chi, tra i candidati alle elezioni, blatera ancora e con veemenza di un ritorno al fantomatico nucleare “sicuro” (che non esiste, ma pazienza).

 

 

 

 

Così, mentre l’Ue reagisce alla crisi russa impazzendo per il Gnl, i cui prezzi levitano di giorno in giorno, molti paesi del Vecchio Continente vorrebbero seguire lo scellerato esempio degli Usa, ricorrendo al fracking.

People, not profit. È lo slogan con cui le migliaia di manifestanti oggi si riprendono le piazze e la parola, ovunque nel mondo.

In Italia come in Brasile, altro paese alle soglie del voto che potrebbe riconfermare la presidenza catastrofica di Jair Bolsonaro, che ha già promesso di creare un’autostrada che tagli in due l’Amazzonia. Proprio nelle stesse ore, a Teheran migliaia di donne e uomini manifestano e protestano, con un coraggio inaudito, dopo la morte di Mahsa Amini, la ventiduenne arrestata e presumibilmente torturata fino alla morte, per non aver indossato correttamente lo hijab. Singolare coincidenza. Inevitabile pensare a quanto la giustizia sociale sia anche giustizia ambientale.

 

Guarda il video delle proteste in Iran

Mielizia

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Valentina Gentile
Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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