Se รจ vero, come diceva Vasilij Kandinskij, che lโarte โoltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla e indica il contenuto del futuroโ, allora lโopera collettiva Marco Cavallo, fu ed รจ tuttโora Arte allo stato puro.
Un cavallo di nome Marco
Per ripercorrere la storia del cavallo azzurro che nel 1973 ruppe i muri del manicomio di Trieste bisogna risalire al 1959 quando in quellโospedale psichiatrico ย arrivรฒ Marco, un cavallo adibito al traino del carretto con la biancheria per la lavanderia e i rifiuti della mensa.
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Silenzioso e laborioso come sanno essere molti animali che lavorano con gli uomini, Marco si fece presto strada nel cuore dei pazienti dellโospedale.
Una presenza rassicurante, che portava cura e igiene. Come per tutti anche per Marco arrivรฒ il momento del pensionamento. Certamente a un cavallo non sarebbe spettato un meritato riposo, ma un mattatoio: questo i pazienti del manicomio lo intuirono subito.
Il dolore per la triste fine che stava attendendo il loro amico, lโempatia stabilita con lui negli anni, e il senso dโingiustizia davanti al mancato riconoscimento delle fatiche dellโanimale, mossero il cuore dei pazienti. E siccome quando sei matto puoi pensare diversamente,ย credere nellโimpossibileย e non porre limiti alla tua immaginazione, allora i matti ascoltarono il sussurro del cavallo e sotto sua dettatura scrissero una lettera allโallora presidente della Provincia di Trieste, Michele Zanetti.
ยซIl mio nome รจ MARCO, di professione cavallo da tiro tuttofare. Devo compiere ancora i 18 anni e, pertanto, non mi sento affatto vecchio (โฆ) ร con profonda costernazione perciรฒ, che apprendo che la Giunta Provinciale da Lei presieduta ha deciso la vendita della mia povera carcassa al miglior offerenteยป la lettera proseguiva chiedendo unย ยซdignitoso pensionamentoยป.
La Provincia di Trieste accolse la richiesta affidando il cavallo alle cure dei pazienti che si sarebbero fatti carico anche delle spese per il suo sostentamento.
Lโumanitร nascosta
Fu una vittoria per tutti: il riconoscimento di una voce che partendo dallโinterno del manicomio, raggiungeva le istituzioni e da queste era accolta. Il paziente psichiatrico (nella veste di un cavallo, quindi effettivamente ancora non del tutto umano) fu preso in considerazione come entitร con cui poter interloquire. La partecipazione empatica dei pazienti verso le sorti del cavallo Marco, la loro spontanea proposta di farsi carico dellโanimale, lโirriverente lettera con cui il cavallo implorava il buon cuore di un โdemocratico โ cristiano pieno di sensibilitร โ, metteva in mostra unโumanitร nascosta.
Il manicomio si mostrava contenitore di vite capaci di provare profondi sentimenti, in grado di osservare con intelligenza la societร , tanto da sapersi destreggiare sulle corde della satira, capaci di scegliere di prendersi delle responsabilitร per difendere i piรน deboli, in grado di unirsi per portare avanti una richiesta.
La forza dei pazienti fu mostrata dalla sensibilitร del loro cuore, dallo slancio di affetto e di riconoscenza verso la fatica di un animale. Forse fino a pochi anni prima lโempatia di chi sapeva soffrire per le sorti di un animale sarebbe apparsa ridicola fragilitร , ma i tempi erano maturi per iniziare a riconoscere, non solo poeticamente, la forza della delicatezza e restituire agli esseri umani il diritto di esprimerla.
Il cavallo azzurro
Lโanno successivo iniziรฒ presso il manicomio San Giovanni di Trieste un laboratorio artistico tenuto dal coreografo Giuliano Scabia e dallโartista Vittorio Basaglia, cugino dello psichiatra Franco. Lโidea era quella di costruire insieme ai pazienti una grande opera in cartapesta. Si decise di fare un cavallo e dipingerlo di blu. Lโanimale avrebbe portato nella sua pancia i sogni e i desideri dei pazienti del manicomio. Per questo fu deciso di farlo molto grande: 4 metri di altezza retti da una impalcatura in legno che si sarebbe mossa su una struttura a ruote progettata da Scabia. Senza esitazione il cavallo fu chiamato Marco, in ricordo del primo cavallo che era riuscito a portare la voce dei matti fuori dal manicomio. Anche a lui fu affidato il compito di portare fuori dal manicomio le storie dellโumanitร nascosta al suo interno.
Crollano i muri
Il 24 febbraio lโanimale di legno e cartapesta era pronto a uscire. Nella sua pancia erano contenuti i desideri piรน concreti che andavano dalle scarpe agli orologi al fiasco di vino, ma anche quelli piรน astratti che comprendevano porti, voli, corse, fino ad arrivare allโampio concetto di libertร . Nel guardare lโanimale cosรฌ carico di sogni e aspettative, cosรฌ grande per doverli contenere tutti, improvvisamente quella sera ci si rese conto che materialmente non passava dalla porta del manicomio.
Fu una notte di discussioni, proposte, pianti e tentativi, poi lo psichiatra Giuseppe dellโAcqua racconta cosรฌ:
โMarco Cavallo, fremendo, testa bassa, cominciรฒ una corsa furibonda, come impazzito, verso la porta principale e, (โฆ) saltarono gli infissi e i vetri. Caddero calcinacci e mattoni. Marco Cavallo arrestรฒ la sua corsa nel prato, tra gli alberi, ferito e ansimante, confuso all’azzurro del cielo. Gli applausi, gli evviva, i pianti, la gioia guarirono in un baleno le sue ferite. Il muro, il primo muro era saltato.โ
Da quel giorno il viaggio di Marco Cavallo non si รจ piรน fermato, girando tra scuole e festival, mostre ed eventi, porta con sรฉ il simbolo potente della lotta etica, politica e sociale portata avanti da Franco Basaglia.