Tori e Lokita dei fratelli Dardenne, il cinema che ci obbliga ad avere speranza
Dopo aver conquistato il Festival di Cannes 2022, dove ha ricevuto il Premio Speciale per il 75esimo anniversario, arriva in sala il 24 novembre il dodicesimo lungometraggio dei due grandi registi belgi. Protagonisti due minorenni non accompagnati, immigrati in un’Europa senza umanità
«Credete ci sia ancora spazio per il vostro modo di fare cinema in questo momento in cui il pubblico sembra chiedere sempre più film d’intrattenimento?», chiede una collega in conferenza stampa dopo la proiezione di Tori e Lokita, ultimo film dei fratelli Dardenne. «Certo che lo credo; altrimenti non lo faremmo», risponde lapidario Luc Dardenne per poi argomentare: «Il cinema ha il potere di spezzare i luoghi comuni, perché permette al pubblico di fermarsi, di prendersi un pausa e dialogare con quello che accade sullo schermo, di smettere di annegare nel mare di parole in cui siamo immersi di continuo: nelle immagini scorre la verità» E una delle verità, numeri alla mano, è che nella civilissima Europa ogni anno arrivano migliaia di bambini e ragazzini, di entrambi i sessi, che il nostro Paese chiama minori stranieri non accompagnati (c’è anche una sigla per loro: msna), che in migliaia scompaiono senza lasciare traccia. Come evidenziato da un articolo del The Guardian, il collettivo di giornalisti di 12 Stati europei Lost in Europe ha scoperto che dal 2018 al 2020 sono almeno 18.292 i minori stranieri scomparsi. L’Italia è il Paese con il numero più alto di sparizioni, 5.775 tra il 2019 e il 2020, quasi 8 al giorno.
È da questi numeri inconcepibili per una democrazia moderna che i fratelli Dardenne sono partiti per scrivere il loro film su due ragazzini, un dodicenne e una sedicenne, arrivati soli in una cittadina del Belgio dopo l’ormai nota odissea che tocca ai profughi africani per arrivare al di là del Mediterraneo.
«Quello che ci interessava era la loro amicizia – spiega Jean Pierre Dardenne – Non volevamo farne dei simboli della migrazione, ma raccontarli come individui».
Da qui il susseguirsi quasi ossessivo dei primi piani, la crudezza di quanto sono costretti a subire e la delicatezza con cui la macchina da presa dei due registi sceglie l’ellissi, il taglio, il pudore quando far vedere avrebbe significato umiliare e sottomettere due volte: potenza del fuori campo quando non mostrare rende più vivida la violenza («non volevamo cedere al côté voyeur», aggiungono i due).
Tori e Lokita è un film bellissimo, inutile girarci intorno, ma è anche un film crudele (come lo sanno essere anche racconti come Pinocchio e Cappuccetto rosso, fanno notare i Dardenne), che non fa sconti allo spettatore: il corpo nero di Lokita, ragazzina senza documenti, non ha valore in questa Europa, troppo presa come è a difendere quello che crede gli spetti di diritto. È alla mercé dei trafficanti di esseri umani (raccapriccianti i dati raccolti da Save the Children nella XII edizione di Piccoli schiavi invisibili, del 2022, secondo le statistiche più recenti della Commissione Europea (2021), su circa 14.000 casi identificati come vittime di traffico di esseri umani, un quarto sono minori), alla mercé di chi sfrutta i minori vittima di tratta, persino della sua famiglia, che l’ha mandata in Europa e che ora, per sopravvivere in Camerun, si aspetta del denaro (onnipresenti le banconote di euro, in tutto il film). Non ha conosciuto gentilezza, nella sua giovane vita, fino a quando il suo viaggio non si intreccia con quello di Tori, fuggito da un orfanotrofio del Benin, dove era stato rinchiuso perché accusato di stregoneria.
Guarda il video di Tori e Lokita dei Dardenne
Il racconto asciutto dei Dardenne lascia che poche battute possano far immaginare allo spettatore l’incontro dei due, in una delle tante carrette che qualcuno infamemente ha avuto il coraggio di chiamare taxi del mare, la scesa a terra a Lampedusa, perché da minorenni qualcun altro altrettanto infamemente non ha potuto considerarli un carico residuale, e lì in un centro di primo soccorso trovare in un’anima ancora quella generosità necessaria a voler rassicurare degli esseri umani poco più che bambini, e insegnar loro una canzone capace di farli entrare in confidenza con la lingua italiana, prima di essere mandati in Belgio, dove li attende il francese conosciuto da sempre: La fiera dell’est, di Angelo Branduardi, insieme a una ninna nanna in lingua bariba, diventerà una sorta di mantra, che li tiene uniti e li fa sentire al sicuro. I momenti di dolcezza, nel film, sono solo lì, chiusi nella stanzetta che Tori e Lokita condividono, sognando dei documenti che potranno permettere alla ragazza di studiare, diventare domestica e ripagare i trafficanti di esseri umani e la famiglia. A chi guarda, la speranza che presto quell’inferno creato e permesso da noi europei possa finalmente finire. «Dobbiamo avere fiducia che film come questi abbiano un impatto sul pubblico. Siamo obbligati ad avere speranza», parola dei Maestri Dardenne.
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Saperenetwork è...
- Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.
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