«Questo album – scriveva Lou Reed – è stato pensato per venire ascoltato da seduti e senza interruzioni durante i suoi 58 minuti, come se si trattasse di un libro o di un film». Reed era perfettamente consapevole che New York, uscito nel 1989, sarebbe diventato uno dei dischi più importanti della sua carriera e un vero e proprio spartiacque nella sua opera. E questo perché le canzoni dell’album sembravano sprigionare una nuova consapevolezza sociale, politica, ambientale e letteraria, che finiva con l’affrancare l’artista americano dal ruolo di cantore del “lato selvaggio” dell’esistenza.
New York, concept album e sinfonia di una città
New York si presentava come un concept album, in cui la denuncia sociale riusciva a coniugarsi con la poesia, dando vita ad una raccolta di “short stories” che raccontavano la cruda realtà di una città irrimediabilmente malata, tra rabbia, ingiustizia, politica, droga, povertà e disillusione. Arte urbana del Ventesimo secolo in grado di scalare le più aspre vette della poesia rock, anche grazie alla capacità del musicista newyorkese di fornire al tessuto verbale l’ambientazione più adeguata, facendo viaggiare insieme, e nel modo giusto, il ritmo dei testi e le melodie.
Poesia rock e suono realista
Nessun orpello, nessuna nota “tanto per metterla” caratterizzava i quattordici brani di New York: solo una strepitosa reinvenzione della formula basso, batteria e chitarra.
Una musica nuda e pungente dove quello che contava era l’aspetto timbrico, i “colori”, l’elettricità, l’attitudine a rivestire di significato anche una schema accordale convenzionale.
Esempio di come la ricerca di un’economia sonora e vocale (un canto, quello dell’ex Velvet Underground, “realista”, vicino al parlato, senza acrobazie vocali, che acquistava significato grazie al colore e all’inflessione della voce…) non volesse dire per forza rinunciare alla ricchezza espressiva.
Guarda il video di Last Great American Whale di Lou Reed
Spettri moderni e ultime balene
A dimostrazione della sua modernità, in New York risuonavano spettri di personaggi e argomenti ancora oggi attuali: quello della famiglia Trump in Sick Of You; lo sparo fatale della polizia a Michael Stewart nel 1983 e a Eleanor Bumpers nel 1984, trent’anni prima di Black Lives Matter; e, soprattutto, quello che ci riguarda più da vicino, ovvero la critica mossa agli Stati Uniti per la mancanza di una politica ecologica, in un brano come Last Great American Whale:
«Well, Americans don’t care for much of anything / Land and water the least / And animal life is low on the totem pole / With human life not worth more than infected yeast/ Americans don’t care too much for beauty / They’ll shit in a river, dump battery acid in a stream / They’ll watch dead rats wash up on the beach / Complain if they can’t swim / They say things are done for the majority / Don’t believe the half of what you see and none of what you hear / It’s like what my painter friend Donald said to me / ‘Stick a fork in their ass and turn’em over, they’re done’».
Una parabola sui crimini ambientali e sul popolo americano che, a detta dell’autore, aveva ormai dimenticato che cosa significasse il rispetto per la natura.
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