Non importa se da grande sarai un predatore gigante: appena nato e in giovane età avrai sempre bisogno di protezione e cure. Sembra lo sapessero bene le mamme dei megalodonti (Otodus megalodon): uno studio pubblicato su Biology Letters, descrive le prove dell’esistenza di nursery per piccoli megalodonti. Questi dati, oltre a svelare uno degli aspetti della vita di una specie ormai estinta, potrebbero anche fornire nuovi indizi sul motivo della sua scomparsa.
Nursery per animali acquatici, cosa sono?
Gli squali, come altre specie di grandi dimensioni, sono animali che si spostano molto e hanno una distribuzione geografica estesa. Durante la loro esistenza occupano principalmente tre tipi di aree: quelle per l’alimentazione e quelle per la riproduzione, entrambe destinate agli adulti, mentre per i più piccoli ci sono le nursery. Quest’ultime sono delle zone di acqua poco profonda in cui sostano le femmine gravide e gli esemplari appena nati o molto giovani che qui sono liberi di nuotare, protetti da eventuali predatori, e godono di abbondanti fonti di cibo.
Piccoli squali crescono
L’esistenza e l’utilizzo delle nursery è essenziale per molte specie marine, specialmente quelle di grandi dimensioni che crescono lentamente, sono scarsamente fertili e raggiungono la maturità in età avanzata. Proprio come accadeva ai megalodonti. Otodus megalodon è il più grande squalo esistito sulla Terra, era lungo tra i 15 e i 18 metri, ed è vissuto tra le epoche geologiche del Miocene (tra circa 23 milioni e 5 milioni di anni fa) e Pliocene (tra circa 5 milioni e 2 milioni anni fa) nelle acque calde e temperate di tutti i maggiori bacini oceanici.
Come sono riusciti gli scienziati a scovare informazioni sul comportamento di un animale estinto milioni di anni fa?
Lo studio dei fossili
L’unico modo che i ricercatori hanno per scoprire come vivevano gli animali del passato sono i loro resti fossili conservati all’interno di strati rocciosi. In questo caso vengono analizzati i denti dei megalodonti, l’unica testimonianza che giunge sino a noi, in quanto il loro scheletro – come negli squali moderni – è in cartilagine, quindi soggetto più facilmente a decomposizione. Dalla dimensione e forma dei denti, attraverso specifiche equazioni e calcoli statistici, è possibile ricavare la lunghezza dell’esemplare a cui appartenevano e la sua età. Studiando, invece, la stratigrafia, i sedimenti e gli altri fossili ritrovati nei siti in cui sono stati raccolti i denti, se ne ricava il paleoambiente, ossia la ricostruzione di quello che era l’ambiente che esisteva nel passato in quel luogo.
Le prime prove lungo le coste di Panama
Nel 2010, un gruppo di studiosi guidato dalla paleobiologa Catalina Pimiento, ha raccolto e misurato i denti fossili di megalodonte ritrovati lungo le coste di Panama, nella formazione di Gatun, formazione geologica che riflette un ambiente marino di acque poco profonde e altamente produttivo, risalente al Miocene.
Guarda Catalina Pimiento che parla della sua ricerca in occasione dell’esposizione
“Megalodon: Largest Shark that Ever Lived”
I risultati indicano che quei denti dovevano appartenere a giovani esemplari di Otodus megalodon e che, quindi, quel sito sarebbe potuto essere una nursery di 10 milioni di anni fa. Era la prima nursery documentata da evidenze scientifiche. Sebbene il numero di campioni fosse esiguo (28 denti) è stato ritenuto comunque sufficiente, data la rarità di questo tipo di fossili nella formazione e la necessità di raccogliere dati nel minor tempo possibile, a causa dello sfruttamento dei sedimenti per ricavarne materiale da costruzione.
Altri “asili” per piccoli megalodonti
Con l’articolo pubblicato pochi giorni fa su Biology Letters ci spostiamo da Panama alle coste spagnole, per poi estendere ancora di più il campo di ricerca. I denti di megalodonte raccolti ed esaminati dagli scienziati provengono infatti dalla provincia di Tarragona, nella Spagna nord-orientale, e da altre 8 formazioni sparse tra l’Oceano Pacifico, il Mare dei Caraibi e l’Oceano Atlantico, per un totale di oltre 400 denti analizzati (più di 20 per ciascun sito). Cinque dei nove siti sono probabilmente stati delle nursery in un intervallo di tempo compreso tra il Miocene medio e il Pliocene.
La perdita e l’estinzione
Queste conclusioni sono state supportate anche da evidenze stratigrafiche, sedimentologiche e paleontologiche che indicano la presenza passata di ambienti marini poco profondi e con abbondanza di cibo. Carlos Martínez-Pérez, paleobiologo dell’Università di Valencia e autore della ricerca, ha evidenziato come queste nuove conoscenze sul comportamento dei megalodonti possano in parte dare una spiegazione sui motivi della loro estinzione, avvenuta più di 3 milioni di anni fa.
La perdita di aree di costa protette, con acque poco profonde, potrebbe aver dato un duro colpo alla sopravvivenza dei piccoli, determinando così la scomparsa di questi animali. Temibili predatori quanto attenti genitori.