Oro nero, nativi e Fbi: Scorsese racconta l’America tra western e cronaca

Lily Gladstone, Robert De Niro e Leonardo Di Caprio in Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese

Oro nero, nativi e Fbi: Scorsese racconta l’America tra western e cronaca

Un libro d’inchiesta del giornalista David Grann, una delle tante pagine della storia americana insanguinate di razzismo e distruzione ambientale: parte da qui Killers of the Flower Moon. Al centro, le vicende della Nazione Indiana Osage, tra petrolio, soprusi e terre usurpate. Tra gli interpreti, Leonardo Di Caprio e un Robert De Niro in stato di grazia

«Date un po’ di rispetto al cinema». Martin Scorsese tira dritto in mezzo alle lamentele per i 206 minuti (quasi tre ore e mezza) del suo ultimo film Killers of the Flower Moon e regala al pubblico che avrà ancora voglia di entrare in una sala l’ennesimo viatico per un mondo altro, dove perdersi e scoprire un senso, dove interrogarsi e trovarsi di fronte alla necessità di un racconto.

Più di un western, più di un gangster movie, ben oltre una storia d’amore: uno Scorsese in purezza, come quel sangue puro degli Osage che li rende i legittimi proprietari di una terra e delle sue ricchezze.

Ma andiamo con ordine, tentando di imbrigliare l’entusiasmo con quello spirito critico che dovrebbe guidare la cronaca: entusiasmo per la magnificenza delle immagini che scorrono sul grande schermo, per l’incantesimo lanciato da interpreti stupefacenti, capaci di scomparire nelle pieghe delle infinite sfumature di un carattere, lì dove nulla è tutto male né tutto bene, per la costruzione di una nuova gigantesca epica in cui ingordigia e tradimento riversano sugli animi tanto veleno quanto il petrolio fuoriuscito dalle viscere riverserà sulla Terra.

 

Gli assassini della Terra rossa: storia di un’inchiesta

Di nuovo, andiamo con ordine. Uscito nel 2017, Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI (pubblicato in Italia da Corbaccio col titolo Gli assassini della Terra Rossa) è un libro d’inchiesta a firma del giornalista David Grann, una delle tante pagine della storia americana insanguinate di crimini a sfondo razzista, a lungo sconosciute ai più. Protagonista – o meglio vittima – la Nazione Osage, una tribù di nativi americani che negli anni era stata costretta a spostarsi dall’Ohio e dalle valli del Mississippi, sempre più a est, verso il Missouri e verso il Kansas, fino ad approdare, per ordine del governo americano, nel cosiddetto “territorio indiano” dell’Oklahoma: una diversa riserva dove le antiche tradizioni e i vecchi stili di vita dovevano scontrarsi con un nuovo ambiente, sociale e naturale. La scoperta di giacimenti petroliferi, nel 1894, avrebbe trasformato in breve tempo gli Osage nei cittadini con il più alto reddito pro capite del mondo: vivevano in case faraoniche, mandavano i figli a studiare nelle migliori scuole d’Europa, giravano in auto di lusso, guidate da autisti bianchi.

 

Martin Scorsese sul set
Martin Scorsese sul set

Il “regno del terrore”: l’America degli anni ’20

L’ordine costituto, insomma, era stato sovvertito a favore del “popolo scelto dal caso”, portando con sé un risentimento razzista e un’invasione di speculatori assetati di ricchezza. Il governo statunitense, dalla sua, con l’aumento della loro ricchezza derivante dalle royalties petrolifere inaugurò un sistema corrotto di “custodia” del territorio: gli Osage, infatti, erano considerati “incompetenti” e dei tutori bianchi erano investiti della facoltà di gestire i loro conti correnti. Le royalties venivano così depositate in un deposito fiduciario degli Stati Uniti: un sistema di tutela presto trasformata in un sistema per derubare milioni di dollari ai legittimi proprietari. Nel corso del cosiddetto Regno del Terrore dei primi anni Venti, decine di Osage furono assassinati in circostanze misteriose, affinché le loro concessioni terriere (comprese le quote dei diritti petroliferi) potessero essere ereditate da cacciatori di fortuna che si introducevano nei loro territori sposando le donne del luogo. Nel 1923, l’Fbi, da poco costituita, avviò un’indagine su richiesta degli Osage.

 

Guarda il trailer di Killers of The Flower Moon

La Nazione Osage: tra Fbi e storia di famiglia

Grann racconta gli eventi dal punto di vista del bureau federale e dell’agente Thomas Bruce White, divenuto celebre proprio per aver risolto il difficile caso degli omicidi a Fairfax, in Oklahoma. «Nel libro la storia funziona benissimo, ma abbiamo voluto evitare di raccontare l’ennesima storia di un agente FBI bianco che salva la situazione, perché il rischio di questo cliché era concreto. David Grann è stato sempre molto chiaro: “Se dovete fare un film su questo argomento, è importante capire il ruolo degli Osage”», ha spiegato Scorsese. Il regista sceglie, quindi, insieme a Eric Roth, con cui ha curato la sceneggiatura, e a Leonardo Di Caprio (l’attore, qui anche produttore esecutivo, ha opzionato i diritti del manoscritto di Grann nel 2016, prima della pubblicazione del libro) di incentrare il film sulla storia di Ernest Burkhart (interpretato dallo stesso Di Caprio, alla sesta collaborazione con Scorsese, dopo The Wolf of Wall StreetShutter Island, The Departed – Il bene e il maleThe Aviator Gangs of New York), un ambiguo veterano della Prima Guerra Mondiale che aveva trovato lavoro nei giacimenti petroliferi e sua moglie Mollie (Lily Gladstone), una donna di una ricca famiglia Osage.

 

Il crepuscolo del vecchio West

Burkhart aveva fornito una testimonianza sulla sua partecipazione a un complotto criminale ideato da suo zio: complotto che prevedeva il suo matrimonio e il successivo omicidio dei parenti della moglie, fra cui sorelle, cognato, cugino e persino la madre, il tutto allo scopo di ereditare le concessioni terriere: testimonianza che è servita per trovare un approccio originale e personale alla vicenda. Si è arrivati così a «dare vita a una vicenda complessa, oscura, con personaggi affascinanti – ha sottolineato Di Caprio – a raccontare il modo in cui queste due persone rimangono insieme, anche dopo il processo, e si separano solo alla fine. Martin è un maestro nel conferire umanità a personaggi pieni di conflitti e tutto sommato incolori. Questo doveva essere il fulcro del film, non l’indagine condotta da un forestiero che cerca di capire chi abbia commesso i crimini». Al centro, quindi, gli Osage e il loro modo di vedere e vivere il mondo, durante il crepuscolo del Vecchio West. A Robert De Niro, in stato di grazia come tutti sul set accanto a lui, il compito di vestire i panni dello zio, William Hale, un acerrimo cattivo affabilmente sinistro, capace di asservire il nipote, affascinante quanto stolto capro espiatorio che può amare sinceramente sua moglie mentre altrettanto sinceramente contamina la sua insulina.

 

Donne native sedute. Un'altra immagine di Killers of the Flower Moon
Un’altra immagine di Killers of the Flower Moon

Le tradizioni dei nativi e le terre stuprate dal petrolio

Tragedia fosca e vigorosa insieme, Killers of the Flower Moon racconta allora non solo il dramma di un uomo ridicolo, di una fiducia tradita, di una avidità mai paga, ma quello di una terra stuprata, in cui l’armonia tra uomo e natura viene contaminata irrimediabilmente e per sempre. Tutto, in questa magnifica messinscena che è il film di Scorsese, concorre a corroborare quel senso di irreparabile abuso, dalle costruzioni che arrivano a interrompere violentemente gli sconfinati panorami (strepitosa la scenografia del grande Jack Fisk, rinomato per i suoi set costruiti fuori dai teatri di posa) agli accessori leziosi, cappellini e borsette, che sovraccaricano di dettagli i costumi tradizionali degli Osage (impossibile non amare le coperte colorate indossate dalle donne, che la costumista Jacqueline West ha realizzato con l’aiuto della consulente culturale Julie O’Keefe). C’è un’urgenza sincera nel rispetto delle tradizioni dei nativi americani e nell’attenzione a non cadere dei tranelli dell’appropriazione culturale, scevra da quegli eccessi a cui ci va abituando la cancel culture. E c’è una sincera necessità nel far durare 206 minuti un film che al finale avvincente, turbolento e mozzafiato (arricchito da un epilogo spiritoso quanto commovente, che non spoileremo), arriva prendendo affettuosamente per mano spettatrici e spettatori portandoli tra i Ni-U-Kon-Ska, i figli delle acque di mezzo, per ridare dignità a ognuno e ognuna di loro, come pubblico e come esseri umani. Perché sì, il cinema e le sue storie – ha ragione Scorsese – impongono rispetto. Killers of the Flower Moon è stato presentato al Festival di Cannes 2023 e à in sala dal 19 ottobre 2023, prima di venire trasmesso in streaming da Apple TV+.

 

 

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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