Magnificare l’intelligenza umana è una specialità dell’essere umano stesso. Il fatto è che in un certo senso è vero. L’intelligenza umana è un prodotto estremamente complesso dell’evoluzione, incardinato su strumenti che gli animali non umani non usano allo stesso grado di complessità: l’idea di causalità – ovvero la ragione che cerchiamo incessantemente – il linguaggio e la teoria della mente – che permette di catalogare pensieri e comportamenti delle altre persone appartenenti alla nostra specie, costruendo relazioni, sistemi simbolici, società articolate, Stati e imperi.
Però, se è indubbio che l’intelligenza umana ha prodotto le meraviglie della cultura, della scienza e della tecnologia, è pur verso che questa nostra “seconda natura” (come la chiamava opportunamente Aristotele, perché fa parte di noi Sapiens come uno strato di pelle indistinguibile da quello sottostante), ci porta oggi sull’orlo del collasso rappresentato dal disastro ambientale.
Intelligenza animale e stupidità umana
Quindi, o si tratta di un’intelligenza non così tanto sofisticata, oppure forse, altre a essere molto intelligenti, siamo anche molto stupidi. Un’evidenza che appare confrontandoci con l’evoluzione delle altre specie con cui condividiamo il cammino della storia naturale. Questa è la tesi avanzata in Se Nietzsche fosse un narvalo. Come l’intelligenza animale svela la stupidità umana (Aboca 2023) da Justin Gregg, a cui l’Università canadese St. Francis Xavier, in Nuova Scozia, ha affidato l’insegnamento di Animal minds (Menti animali). Esperto di cognizione degli animali non umani e studioso dei mammiferi marini (il suo lavoro precedente si intitola Are Dolphins really Smart?, I delfini sono davvero intelligenti?) nel suo saggio parte dall’idea che l’intelligenza non rende la specie umana più riuscita della altre specie, se la consideriamo dal punto di vista dell’evoluzione.
Darwin e la capacità adattativa
La teoria messa a punto da Charles Darwin a partire dall’Origine delle Specie (1859), infatti, si basa notoriamente sull’idea che ogni essere vivente ha successo nel vivere e propagare la propria specie quanto più si adatta all’ambiente circostante. Le strategie di sopravvivenza delle miriadi di specie di animali non hanno avuto bisogno di sviluppare un sistema cognitivo articolato come il nostro.
Semplicemente perché sono riuscite a vincere la lotta per la sopravvivenza in altro modo: la loro capacità adattativa è diversa, a volte basilare altre volte perfino raffinata se la guardiamo dal punto di vista umano, ma in nessun da disprezzare o sottostimare.
Noi Sapiens, maestri di menzogna e discriminazione
L’evoluzione non giudica in termini di buono o bello e la definizione di “complesso” per un meccanismo adattativo rappresenta una descrizione, non un’attribuzione di merito. Se poi c’è qualcosa che dovrebbe guardare con sospetto, sono una serie di pregiudizi che rappresentano il lato negativo dell’intelligenza stessa, come ad esempio la capacità tutta propria di Sapiens nell’usare la menzogna (grazie all’impareggiabile strumento del linguaggio), quella di discriminare i simili per una tendenza sessuale oppure la nostra speciale inclinazione all’ansia o alla depressione, derivante dalla consapevolezza dell’esistenza individuale finita.
E se Nietzsche fosse stato davvero un narvalo?
E a proposito di quest’ultimo aspetto, il narvalo citato nel titolo accanto al filosofo tedesco e baffuto fine Ottocento, è un bizzarro cetaceo artico, singolarmente simile ad un unicorno. L’autore lo evoca in chiave aneddotica per ipotizzare che il filosofo tedesco sarebbe stato meno psicologicamente tormentato (evitando magari di cadere, negli ultimi anni di vita, in una cupa e duratura follia) se la sua mente fosse stata quella di un altro animale non umano. Da qui la domanda di partenza del libro e la considerazione che la meraviglia dell’evoluzione – come abitualmente vediamo l’intelligenza umana – può essere tutt’altro che una benedizione per la nostra specie.
Distruggere l’ambiente: una prova di stupidità Sapiens
Tra i bias (o pregiudizi) cognitivi che la accompagnano Gregg ne indica uno particolarmente insidioso con la definizione di “miopia prognostica”. Il fatto è che mentre gli altri animali pensano al “qui e ora”, Sapiens ha sviluppato una capacità tutta sua di fare piani anche a lungo termine. Il problema però è che del futuro non ha la stessa percezione che del presente, rivelandosi molto meno razionale di quanto si immaginerebbe.
Che l’umanità stia distruggendo il pianeta attraverso l’immissione di gas serra e con l’utilizzo di combustibili fossili è una drammatica spia dell’atteggiamento di non prendere sul serio i problemi, spostandoli in quel futuro dove ci illudiamo possano sparire.
Atteggiamento tanto più grave, in questo caso, perché condanna Sapiens all’estinzione di specie: un obiettivo che gli altri animali non umani non si sognerebbero mai di immaginare. Così, leggendo di Nietzsche e il Narvalo impariamo molto sulla bellezza e la complessità del regno animale e a relativizzare la nostra presunta superiorità rispetto ad esso. Basterebbero queste due cose per ritenerla una lettura utile e interessante.
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