Trafficanti di natura: quel mondo sommerso che minaccia la biodiversità
Il libro del giornalista Rudi Bressa spiega le dinamiche del traffico illegale di specie selvatiche e pone una riflessione sul nostro rapporto con animali e piante
Elefanti, tigri, rinoceronti, rettili, squali, pangolini: questi sono solo alcuni degli animali, i più conosciuti dal pubblico, vittime di quello che è classificato al quarto posto tra i commerci illegali, dopo i traffici di droga, di esseri umani e di armi. Zanne, artigli, corni, pinne, scaglie e tantissime altre parti di corpi sacrificati alla nostra fame di ricchezza e ostentazione. A tuffarsi nel mondo sommerso del traffico di specie selvatiche — anche vegetali — è il giornalista ambientale e scientifico Rudi Bressa, con il libro Trafficanti di natura. Il commercio illegale di specie selvatiche che minaccia la biodiversità (e tutti noi) .
Un crimine in crescita
Bressa ci accompagna, tra indagini nazionali e oltre confine, tra i nodi — anche i meno oscuri — del web e della vita reale, nelle esistenze e attività dei trafficanti. Nonostante la presenza di istituzioni e leggi preposte negli ultimi decenni per proteggere fauna e flora selvatica, i dati sul mercato illegale di queste specie sono ancora preoccupanti:
«Secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), si aggirerebbe intorno agli 8-10 miliardi di dollari l’anno, mentre secondo un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) varierebbe dai 7 ai 23 miliardi di dollari l’anno».
Per comprendere meglio l’ordine di grandezza di questo settore della criminalità, basti pensare che la manovra finanziaria italiana del 2022 ammontava a circa 35 miliardi di euro, che corrispondono a poco più di 37 miliardi di dollari. Un fenomeno che sembra essere in crescita in Europa, infatti il documento Una panoramica dei sequestri di fauna selvatica nell’elenco CITES nell’Unione europea del 2018 riporta che il valore stimato del commercio illegale di specie selvatiche in Europa era di minimo 2,3 milioni di euro, mezzo milione in più rispetto all’anno precedente, il 2017. Questo mercato, purtroppo, interessa anche l’Italia.
Cavallucci marini, anguille e uccelli: l’Italia dei trafficanti di natura
Non di sole zanne di elefante vivono i trafficanti di natura. Rudi Bressa ci mostra come il commercio illegale di specie selvatiche non abbia come teatro solo paesi come Africa e Asia: tocca anche la nostra penisola. Nel 2019 è stato svelato, da un’inchiesta giornalistica di VeraLeaks, un mercato nero di cavallucci marini tra pescatori italiani e clienti cinesi, che partiva dal mar Piccolo di Taranto, in Puglia. Gli animali venivano pescati in un’area protetta dalla Direttiva Habitat e Sito d’Interesse Nazionale. Ci sono poi le anguille delle acque del delta del Po, protagoniste di un bracconaggio ittico molto difficile da eradicare poiché costituito da organizzazioni paramilitari che viaggiano tra Italia ed Est Europa. Un altro esempio di traffico illegale di specie selvatiche italiano, forse più conosciuto, è quello degli uccelli: «[…] secondo una stima realizzata da Birdlife International, associazione internazionale che si occupa di conservazione degli uccelli, nel 2016 si stimavano tra gli 11 e i 36 milioni di uccelli catturati o uccisi illegalmente ogni anno nella sola area del Mediterraneo, con Cipro, Egitto, Italia, Libano e Siria i Paesi più coinvolti. Solo per il nostro Paese l’associazione stimava una media di 5,6 milioni di individui l’anno, cifra che coinvolgeva il 43% delle specie presenti sul territorio”.
Guarda il video Lipu sulla prevenzione del bracconaggio nello stretto di Messina
Qual è il destino di questi animali? Dalla preparazione di piatti di “spiedo” e “polenta e osei” di cui alcuni abitanti delle regioni del Nord Italia sembrano non poter fare a meno, alla cattura e allevamento di richiami vivi per la caccia, passando per la vendita di esemplari o per l’uccisione motivata da pura superstizione, come nel caso dei falchi pecchiaioli, la cui morte assicurerebbe un anno di fedeltà dell’amata secondo i residenti nell’area dello Stretto di Messina.
Cecità (non solo vegetale) a ciò che ci lega alle specie selvatiche
Non sono solo gli animali selvatici a essere oggetto di traffici illeciti: teak (legno utilizzato per costruire yacht proprio qui in Italia), orchidee, cactus e cycas sono tra le specie vegetali che alimentano i commerci illegali di natura. L’autore del libro ci spiega che del traffico di piante si parla poco probabilmente a causa di quella che è definita plant blindness, cecità vegetale:
un pregiudizio che ci impedisce di vedere le piante nel loro ambiente e, di conseguenza, ci porta a ignorarne l’importanza per l’ecosistema, la salute, l’economia e, quindi, a disinteressarci della loro conservazione.
Sebbene il mondo vegetale probabilmente eserciti in qualche modo, e in certi ambiti, meno fascino rispetto a quello animale, forse anche altro sfugge alla nostra considerazione ed è questo che Rudi Bressa ci svela con il suo libro. Ejiao è il nome di una gelatina che si ricava dalla bollitura della pelle di asino ed è uno degli ingredienti della medicina tradizionale orientale. La domanda del prodotto è aumentata con gli anni e il numero di asini allevati dai cinesi non è abbastanza alto da soddisfare il mercato.
Ed ecco che una nuova fonte di approvvigionamento viene trovata in alcuni paesi africani dove, però, accade spesso che questo animale sia l’unica fonte di sopravvivenza per intere comunità. Gli asini vengono inizialmente ceduti per soldi, poi rubati per arricchire le tasche di pochi. Uno dei non pochi esempi in cui l’illegalità e lo sfruttamento di animali va di pari passo con quello degli esseri umani. Un commercio legale che nasconde il contrabbando delle più celebri zanne di elefante, squame di pangolino e parti di tigre.
Il cuore del problema
Come difendere gli asini africani e la sopravvivenza delle comunità che ne fanno un compagno di lavoro insostituibile, come è stato per tantissimo tempo nella storia di Homo sapiens?
L’asino domestico non è protetto da nessun regolamento internazionale e cultura ed economia impediscono di vietare questo tipo di commercio perché aprirebbe una discussione su tutti gli altri animali allevati. Forse questo ci dovrebbe far riflettere sulla complessità del nostro rapporto con tutte le specie animali e vegetali, selvatiche e non, e aiutarci a immaginare una società che riesca a ricalibrare i propri valori e le proprie necessità nel rispetto di tutta la Vita del nostro Pianeta. Quella Vita che stiamo portando al collasso.
Saperenetwork è...
- Laureata in Scienza e Tecnologie per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali, dottore di ricerca in Geomorfologia e Dinamica Ambientale, è infine approdata sulle rive della comunicazione. Giornalista pubblicista dal 2014, ha raccontato storie di scienza, natura e arte per testate locali e nazionali. Ha collaborato come curatrice dei contenuti del sito della rivista di divulgazione scientifica Sapere e ha fatto parte del team della comunicazione del Festival della Divulgazione di Potenza. Ama gli animali, il disegno naturalistico e le serie tv.
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