Abbiamo assistito durante le ultime settimane all’ennesima levata di scudi contro chi, nel caso specifico il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, criticava l’efficacia della scuola italiana con queste parole:
«Fra dieci anni ci serviranno i digital manager per la salute, per l’energia, per lavori che ancora non esistono… Oggi il problema è se continuare a fare tre o quattro volte le guerre puniche o se magari le facciamo una volta sola, se cominciare a impartire un’istruzione un po’ più avanzata, un po’ più moderna a partire dalle lingue e dal digitale…».
Ad esempio per Massimo Gramellini e Roberto Vecchioni, durante la puntata del 27 novembre del programma “Le parole della settimana” (Rai Tre), questa critica abbastanza scontata alle pratiche “ripetitive” nella nostra scuola diventa una chiara critica «all’umanesimo in generale, come se fosse una palla al piede al progresso (…). Cosa impossibile perché la scienza dà il come mentre i perché li dà proprio l’umanesimo, la cultura». Per poi chiedersi «se la scuola deve fornire le conoscenze tecniche oppure gli strumenti mentali che poi serviranno per tutta la vita».
Guarda la puntata di “Le parole della settimana” con Massimo Gramellini e Roberto Vecchioni
Si ritorna così alla distinzione tra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, contaminata dalla tecnica e dai saperi pratici, utili al momento. La cultura di una nazione, di una società, ormai lo sappiamo, è data dall’intreccio fra sapere e saper fare, fra tradizione e innovazione, fra storia e visione di futuro. Parlare ancora di saperi utili in senso spregiativo e di saperi inutili che aprono la mente (ma quali, solo quelli umanistici?) ripropone una visione della cultura e della scuola che credevamo superata.
Tutti i saperi sono utili o possono esserlo: il problema è quello di non confondere i saperi con le “conoscenze”. O peggio con le nozioni, tecniche o umanistiche che siano, e di vederli invece come strumenti di comprensione del mondo.
Il ministro Cingolani se la prende, con qualche ragione, con gli argomenti ripetuti più volte durante il percorso scolastico (anche se dal 2012 molte ripetizioni sono state eliminate dai programmi, ma forse non dalla scuola reale). Gramellini e Vecchioni però non affrontano il problema e preferiscono mostrare come le guerre puniche possono fornire insegnamenti utili se presentate e discusse in maniera vivace e interessante. Parlando della battaglia di Canne:
«Annibale ha una strategia meravigliosa… È la nascita del contropiede. Lui sa che ha nel suo esercito un punto debole, i Libici che hanno paura… Utilizza questo strumento (…): quando arriveranno i Romani, i Libici scapperanno all’indietro, i Romani li inseguiranno… E lui allora dà ordine alla cavalleria numida di circondare i Romani e li uccide tutti».
Allora i problemi non sono tra cultura umanistica o cultura scientifica ma tra modalità di insegnamento, ripetitivo e nozionistico oppure stimolante e aperto ad incursioni nell’attualità (la metafora calcistica) e nel futuro (saper fare uso dei propri punti deboli). Inoltre, come dice Paolo Mieli nella stessa trasmissione, è importante anche tener conto dell’età in cui i saperi sono proposti: parlare una lingua diversa da quella materna, lo sappiamo, è molto più facile nei primi anni ed è un apprendimento che dura tutta la vita.
Ogni sapere, come dimostra il maestro Franco Lorenzoni, anche quelli che sembrano più aridi o lontani, dalla misura del tempo alle statistiche, dalla geometria alla capillarità, sono legati ai perché della nostra esistenza, e possono essere affrontati con “leggerezza” e profondità, possono diventare chiavi di comprensione del mondo, non solo dei “come” ma anche dei “perché”, a partire dalla nostra cultura, ma anche esplorando i come e i perché di culture diverse. Culture che il mondo attuale ci permette di incontrare, sviluppando curiosità e interesse per gli altri esseri umani e per il Pianeta che ci ospita.
Ma perché questo avvenga occorrono dei “maestri”, insegnanti preparati ad insegnare e non solo esperti disciplinari. Le conoscenze, umanistiche o scientifiche, infatti, non bastano, e occorrono passione ma anche “competenze” perché il sapere che si costruisce assieme – e non quello che si trasmette – sia “utile per la vita”.
I saperi, infatti, diventano “utili” quando modificano qualcosa in chi li apprende, quando trasformano e si trasformano, diventando strumenti di comprensione della natura, della società, del mondo. In questo senso, anche le ricette di cucina possono costituire uno strumento utile per la vita e non solo per partecipare a Master chef. Richiedono attenzione ai particolari, capacità di seguire istruzioni ma anche capacità inventiva, addestrano sensi poco utilizzati nella scuola, come l’olfatto e il gusto, collegando la vita materiale alla storia di una società, alle sue risorse naturali, alla sua economia.
E perché gli studenti costruiscano questi saperi, perché imparino a “dare forma al mondo”, occorre offrire occasioni di “inciampo” e di “innamoramento”, proporre ostacoli da superare e non esercizi da svolgere, problemi “autentici” da affrontare e da risolvere, esercitando lo spirito critico ma anche la capacità di prendere decisioni in condizioni di incertezza. Come dice sempre Franco Lorenzoni (“I bambini pensano grande”, Sellerio, 2014) sono proprio gli ostacoli, gli inciampi, i problemi che non si capiscono (filosofici o scientifici che siano) che permettono a bambini e ragazzi di mettersi alla prova, di utilizzare tutti i “saperi” per trovare una strada che permetta di arrivare alla soluzione.
Quello che veramente serve a scuola è più attenzione alle competenze piuttosto che alle conoscenze.
Qui si apre un’altra delle polemiche che si ripetono negli anni quando si parla di scuola, come se le competenze – assimilate spesso ai saperi utili ma di poco conto e di breve durata – siano da contrapporre alle conoscenze. Eppure, a cosa servono le conoscenze (i fatti storici, le poesie imparate a memoria, il teorema di Pitagora…) se non si sanno cogliere le occasioni che ci offrono di riflettere su noi stessi e sul mondo? Anche l’Unione Europea sottolinea del resto che le competenze chiave, valide per tutta la vita, sono definite come quell’insieme di conoscenze, atteggiamenti e abilità che ci permettono di affrontare diverse situazioni a diversi livelli di complessità. Le competenze sono allora uno strumento da esercitare ed affinare ogni giorno, come lo studio di uno strumento musicale.
Guarda il seminario dell’Italian association for sustainability science
E le competenze sono però anche quelle degli educatori: non possiamo insegnare quello che non pratichiamo e quindi anche gli insegnanti dovrebbero, come abbiamo proposto a maggio con Sapereambiente durante il seminario “Agenti del cambiamento e competenze per la sostenibilità”, saper utilizzare la “tavolozza delle competenze” mescolando tra loro conoscenze diverse ma anche discipline, in maniera creativa, costruendo con gli studenti, insieme al pensiero critico e sistemico, anche valori, responsabilità, partecipazione e capacità di agire per il futuro.
Un futuro non tanto e non soltanto del Pianeta, quanto dell’umanità su questo Pianeta.