Avrebbero potuto intitolare questa serie Il ritorno di Erin Brockovich se non fosse che Erin Brockovich non se ne è mai andata. Certo, non lei in persona ma tutto quello che la storia, ormai quasi un archetipo, della sua lotta contro l’inquinamento in difesa delle piccole comunità ha rappresentato e ancora rappresenta.


L’archetipo che ritorna
Non era, in fondo, Erin Brockovich anche Mark Ruffalo in Cattive acque (Dark Waters) di Todd Haynes, quando l’avvocato da lui interpretato combatteva la DuPont contro l’inquinamento da Pfoa? Persino Johnny Depp è una Erin Brockovich ante litteram in Minamata di Andrew Levitas. Tutte storie vere di individui che il caso costringe a misurarsi con i Golia dell’inquinamento. Tutte comunità la cui salute è stata messa a repentaglio dall’ingordigia di imprese senza scrupoli e che, con certosina pazienza, devono fare i conti prima con se stesse e con le perdite che hanno subito e poi cercare non solo giustizia ma anche la salvaguardia per quelli che sono rimasti.


Quattro ore di racconto civile
Toxic Town, è una miniserie e non un film (ma ormai chi ci fa più caso)? Dura lo spazio di quattro puntate, circa quattro ore in totale, ed è uno dei prodotti più recenti di Netflix. Diretta da Minkie Spiro, una regista inglese che abbiamo visto all’opera in più di una serie di successo (dal Problema dei tre corpi a Better call Saul fino a Downton Abbey) e scritta da Jack Thorne (co-autore di un’altra miniserie che in questo momento spopola in mezzo mondo, Adolescence), Toxic Town è, come si dice, una storia vera.
Polveri velenose
Vera è la vicenda di una cittadina industriale del Northamptonshire in Inghilterra, Corby, dove la demolizione da parte del Comune di un impianto siderurgico dismesso, negli anni Novanta, ha provocato la dispersione di polveri tossiche, residuo della lavorazione dell’acciaio, su ogni cosa. Vere sono le madri, protagoniste di una lunga battaglia legale, alle quali l’inquinamento che conseguì alle operazioni di bonifica ha fatto nascere figli disabili o li ha uccisi ancora in culla. In fondo la storia è tutta qua: quante Toxic town potremmo raccontare anche noi nel nostro paese!


Ruoli ribaltati
Ma il cinema e la tv inglese non hanno mai abbandonato la loro working-class. La cosa “divertente”, in fondo, è che in questa serie-film-di-quattro-ore abbiamo persino due icone di quella classe che arrivano dal cinema di Ken Loach (Robert Carlyle) e dalla servitù di Downton Abbey (Brendan Coyle) che qui, con un ribaltamento dei ruoli, rappresentano invece il potere corrotto.
Esercizi di metacinema
C’è molto metacinema nei volti noti e nelle notissime star britanniche che affollano quest’opera, che arrivano da Doctor Who a James Bond: potete anche divertirvi a riconoscerli senza alcuna fatica. Ma non si tratta di un mero esercizio di stile o di un mezzuccio per catturare il pubblico con facce arcinote ai consumatori seriali di cinetelevisione.
O, almeno, non è solo questo. Sono anche volti che abbiamo amato in altre incarnazioni e che ci aiutano ad entrare immediatamente in empatia con loro e tramite loro ad immedesimarci subito nell’inferno in cui dovette trasformarsi la piccola comunità di Corby verso la fine dello scorso millennio. Una storia nella quale le sirene delle ragioni del lavoro contro quelle dell’ambiente non possono più suonare quando a rischiare la vita sono le generazioni più giovani, quando i bambini nascono malati ancor prima di cominciare a vivere.


Donne protagoniste
Non siamo di fronte alle tragedie di Ken Loach, sebbene i personaggi potrebbero benissimo convivere in entrambe i mondi, ma di fronte ad una messa in scena talmente drammatica che Minkie Spiro riesce a tenere su toni sobri senza disdegnare un ammiccamento alla commedia: nella mimica di alcune protagoniste o nel loro senso di inadeguatezza di fronte a drammi più grandi di loro, che poi era la cifra che aveva reso a suo tempo la Erin Brockovich di Julia Roberts così vicina al pubblico. Perché un’altra cosa che rimane da aggiungere su questa mini-serie è che le protagoniste sono tutte donne, tutte madri alle quali non il caso ma l’inquinamento ha tolto qualcosa. Tutte madri imperfette e consce di esserlo ma non per questo rassegnate a rimanere vittime.


Giustizia senza prediche
Una televisione (o un cinema) che sembra piccolo ma che invece incarna la grande verità secondo la quale giustizia ambientale e giustizia sociale sono sempre indissolubilmente legate.
E che riesce a farlo nel migliore dei modi nei quali il cinema sa farlo: senza prediche o morali ma con la forza delle immagini.