Ronal (Kate Winslet) e Tonowari (Cliff Curtis) in una scena di "Avatar, la via dell'acqua" (Foto Luca Dell'Orto/Wikipedia)
Ronal (Kate Winslet) e Tonowari (Cliff Curtis) in una scena di "Avatar, la via dell'acqua" (Foto Luca Dell'Orto/Wikipedia)

Avatar 2, la via ecologica al cinema. Un colossal per madre Terra

Un film molto complesso, che segna una vera e propria rivoluzione stilistica, tecnologica ed ambientale sul grande schermo. Fra molteplici riferimenti mitologici e citazioni, compresa quella preziosissima a Rachel Carson. E un messaggio d'amore per il Pianeta, ai suoi equilibri, rivolto in particolare alle nuove generazioni
20 Dicembre, 2022
4 minuti di lettura

Ciò che colpisce dell’ultimo film di James Cameron, “Avatar: la via dell’acqua” appena giunto nelle sale italiane, sono le sue dimensioni ciclopiche. Come un Colosseo di celluloide, per quanto  i film ormai viaggino su supporti ben diversi, anzi, siano totalmente immateriali attraverso la digitalizzazione.  Un film destinato ad essere ancora una volta, dopo il primo Avatar del 2009, la pietra angolare di una rivoluzione stilistica, tecnologica ed ecologica del cinema.

 

Guarda il trailer di Avatar: la via dell’acqua

 

Stilistica perché Cameron ha scritto e composto questo film nel momenti di piena affermazione dello streaming, che ha sottratto spettatori ai cinema ma soprattutto ha educato gli spettatori a una fruizione diversa, a lunghe storie fatte di più puntate come fossero film di tre, quattro, cinque o sei ore. E che gli spettatori, spesso, vedono tutto di un fiato. Cameron comincia a scrivere “Avatar: la via dell’acqua” durante questa evoluzione dello spettatore e la incorpora non in un prodotto per la visione casalinga ma per il cinema.

Ne esce fuori un lunghissimo film, quasi tre ore e un quarto durante le quali si sovrappongono più piani narrativi, molti protagonisti e molti snodi, senza mai smettere di essere cinema e senza mai essere televisione.

Tecnologica, perché l’interpretazione, pur essendo affidata ad attori in carne ed ossa, è “filtrata” attraverso la telecamera digitale e la rielaborazione attraverso numerosi software per ottenere sullo schermo lo straordinario mondo di Pandora e gli alieni Na’vi. L’effetto è impressionante, più del primo Avatar che pure ci aveva lasciati a bocca aperta. Non si ha mai la sensazione di essere di fronte a creature totalmente ricreate al computer, ad una natura che non esiste anche se sembra uno spettacolo del National geographic. L’effetto realistico non diventa mai surreale né barocco. I movimenti, le espressioni, i dettagli non sono mai cartooneschi. Non è solo esercizio tecnologico, però. Il realismo è necessario per raccontare una storia, che come molte grandi narrazioni popolari, è metafora del tempo presente.

Devi credere a quello che vedi per viverlo.

Miti, leggende. E citazioni di se stesso

Cameron non rinuncia a nulla, per alcuni critici forse aggiunge fin troppo: rielabora miti, favole, cinema e cronaca, arrivando a citare persino il se stesso di Aliens e Titanic. C’è persino un novello Patroclo che toglie la spina non più dalla zampa del leone ma da una gigantesca creatura marina che somiglia ad una balena (ed ecco che fonde insieme alla favola di Fedro anche Moby Dick e il messaggio sui cetacei che fu già di uno dei più fortunati episodi cinematografici di Star Trek). Ed eccoci, appunto, al messaggio ecologista che sembra essere la vera costante della saga di Avatar (per la quale sono progettati e già in lavorazioni almeno altri tre seguiti). La madre terra, Gaia, la connessione fra tutti i viventi, il rispetto per le risorse, l’ecopacifismo e l’ecofemminismo. Persino i giovani ribelli che sono una costante della letteratura ma sono anche i manifestanti dei Fridays for future. E, se nel primo episodio della saga l’ambientazione principale era la foresta, in questo lo è il mare, antica passione di Cameron che, va ricordato, è stato il primo essere umano a scendere nel 2012 nella Fossa delle Marianne in solitaria con una specie di sottomarino monoposto per girare delle riprese. Come non ricordare, allora, il suo Abyss e, ancora una volta, Titanic, dove il pericolo non veniva dalle onde ma dalla stessa tecnologia imperfetta degli uomini?

 

 

Il respiro di Rachel

In questo suo amore per il mare non stupisce che siano disseminati qua e là espliciti riferimenti anche al lavoro di Rachel Carson, la biologa che con il suo lavoro ha ispirato la nascita dei movimenti ambientalisti. Con “Il mare intorno a noi” Carson riusciva a fondere alla scienza la poesia, alla conoscenza lo stupore. Da quello stupendo libro di divulgazione (1951) se ne trasse un documentario che vinse persino un Oscar. «Il respiro della vita – scriveva Rachel Carson – è come una casa in fondo all’oceano con tutte le finestre e le porte aperte.  Siamo immersi nel mare intorno a noi, che continua a muoversi dentro, attraverso, intorno e oltre anche se siamo fermi». Spiega uno dei protagonisti del nuovo Avatar:

«L’acqua non ha inizio o fine. Il mare è intorno a te e dentro di te. Il mare è la tua casa prima della tua. L’acqua connette tutte le cose: la vita alla morte, il buio alla luce».

 

LEGGI ANCHE >
Rachel e i pettirossi. Danilo Selvaggi racconta il suo libro dedicato alla celebre naturalista

 

Figlio del trumpismo

C’è, infine, un sottotesto tutto politico. Se nel 2009 Cameron concludeva Avatar con una sorta di nuovo patto fra uomo e natura, figlio dei tempi del green deal di Obama, “Avatar: la via dell’acqua” è figlio del trumpismo: come gli Stati Uniti hanno tradito il Trattato sul clima, i terrestri del film hanno tradito il patto con i Na’vi e sono tornati su Pandora per conquistarlo e distruggere il suo ecosistema. Ci sono evidenti esigenze di copione per cui la storia di questo film, pur concludendosi, non risolve gli snodi principali e apre un percorso di guerra che dovrà sciogliersi nelle “puntate” successive. Ma questo clima di incertezza è anche la rappresentazione di questi tempi, dove il destino della Terra e degli umani non è meno incerto di quello dei Na’vi e di Pandora sullo schermo.

Il saluto ancestrale di queste creature di fantasia è “io ti vedo” ed è un monito.

È come se la natura ci dicesse “io vi vedo”. Basterebbe questo per fare di Cameron uno dei più grandi narratori dell’urgenza ecologica dei nostri tempi.

Mielizia

Saperenetwork è...

Marco Gisotti
Marco Gisotti
Marco Gisotti, giornalista e divulgatore, conduce su La7, con Valerio Rossi Albertini, la trasmissione Gigawatt: tutto è energia, mentre su Radio3 Rai è da oltre dieci anni la voce che racconta la storia dell'ambientalismo scientifico a Wikiradio. Direttore dell'Osservatorio Spettacolo e Ambiente, dal 2011 è direttore artistico del Green Drop Award, premio ambientale assegnato nell’ambito della Mostra del cinema di Venezia. Autore di “Ecovisioni. L’ecologia al cinema dai fratelli Lumière alla Marvel” (Edizioni ambiente), in coppia con Tessa Gelisio, ha scritto anche il manuale “100 Green Jobs per trovare lavoro”. È direttore scientifico dell’agenzia di comunicazione e studi ambientali Green Factor.
Mielizia
Mielizia
Resto sfuso

Agenda Verde

Librigreen

Fabio Deotto, "Come ne usciremo"

Viaggio nel 2040, quando la transizione sarà compiuta. Otto visioni possibili

Autore:

Cosa accadrebbe se tra qualche anno non saremo neppure in grado di ricordare il nostro tempo? Non perché saranno trascorsi troppi anni, ma per una for

Il favoloso mondo delle piante

Un abete più vecchio delle piramidi e tanto altro. Nel mondo delle piante con Mancuso e Giordano

L’essere vivente più vecchio del mondo? Forse non tutti sanno che si tratta di un albero. È Tjikko, un abete rosso che vive in Svezia e ha compiuto be

Alfie e io

"Alfie e io". Carl Safina racconta la sua speciale amicizia con un rapace

Autore:

Può accadere che le grandi avventure non abbiano bisogno di migliaia di chilometri percorsi in treno o aereo, con ore di jet lag da smaltire. È possib

Il logo dell'ultimo rapporto di Reporter senza frontiere sull
Storia precedente

Reporter senza frontiere: nel 2022 è record di giornalisti detenuti nel mondo

Un'immagine tratta dalla mostra dell'artista coreana Thao Nguyen Phan
Prossima storia

Quindici mostre da non perdere nel 2023, dove l’ambiente è protagonista

Leggi anche...