«C’è un abisso tra quello che viene attuato e quello che la scienza dice che è necessario per affrontare la crisi climatica. Questo abisso si sta allargando di minuto in minuto. E noi rischiamo di precipitare», gridano i ragazzi dei Fridays For Future che venerdì 30 aprile sono scesi in piazza a Bologna e a Roma per protestare contro il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), approvato il 29 aprile dal Consiglio dei Ministri e inviato alla Commissione europea.
«La scienza ci ripete che questa è la nostra ultima occasione per poter rispettare gli Accordi di Parigi. Ma al governo, a quanto, pare, non interessa: servirebbero 60/70 GW di energie rinnovabili al 2030, 6 GW ogni anno: perché il Pnrr spaccia 4.2 GW in 6 anni come “innovazione e transizione ecologica”? Non ci servono più promesse vuote e obiettivi di riduzione delle emissioni pieni di scappatoie e lontani nel tempo».
Luci e ombre del Pnrr
Anche per quanto riguarda la mobilità sostenibile, ci sono luci e ombre nel Pnrr. Arrivano 600 milioni di euro in totale ripartiti in 400 milioni per le ciclovie turistiche e 200 per le ciclabili urbane. La Fiab fa notare che «l’ambito urbano/metropolitano risulta eccessivamente penalizzato». Tra le note positive, invece «Si deve evidenziare la discontinuità, imposta dall’UE, sui grandi investimenti in mobilità e trasporti, visto che la grandissima parte dei fondi andrà alle ferrovie anziché a nuove strade». Ma anche qui ci sono tasti dolenti: «Purtroppo però nell’ultima versione è stata privilegiata l’Alta Velocità a scapito del trasporto regionale, che invece è necessario per ridurre il pendolarismo in auto che quotidianamente assalta le aree metropolitane». Proteste anche dalle più grandi associazioni ambientaliste, dal Wwf e da Greenpeace. «Quanto contenuto nel Pnrr non è transizione ecologica ma finzione», commenta Chiara Campione, portavoce della campagna #IlPianetaSiSalvaAdAprile di Greenpeace Italia.
? Abbiamo dato ai Ministeri i nomi che meritano!
Doveva essere la svolta verde del Governo Draghi, da protagonisti…Pubblicato da Greenpeace Italia su Giovedì 29 aprile 2021
Il sito di cattura e stoccaggio
Vincenzo Balzani, professore emerito presso l’Università di Bologna e coordinatore di Energia Per l’Italia spiega quali sono i limiti: «Con questo piano non si raggiungeranno gli obiettivi europei dei 2/3 di energia da fonti rinnovabili entro il 2030. Il piano prevede di usare centrali a turbogas cioè metano per produrre energia elettrica, propone inoltre di acquistare autobus a metano: è un grave errore continuare a investire sull’energia fossile, quando si dovrebbe facilitare impianti eolici, solari e autoproduzione». Balzani mette infine in guardia anche sui limiti dell’idrogeno e sulla realizzazione del CCS, (Carbon Capture and Storage) proposta dall’Eni, il sito di cattura e stoccaggio di anidride carbonica tra i più grandi in Europa che secondo il professore sarebbe «Irrazionale, impraticabile e insostenibile».
Ogni era ha i suoi miti, o miti antichi adattati alle richieste del mercato.
Con la promessa delle aziende fossili di…
Pubblicato da NOCCS il futuro non si Stocca su Martedì 27 aprile 2021
La mobilitazione
Per metà maggio si prevedono nuove proteste in Emilia Romagna promosse dalla campagna NOCCS, “Il futuro non si (s)tocca”. Sul sito della campagna si legge: «Il CCS non è una tecnologia efficace per l’abbattimento della CO2 ma un espediente per sfruttare i giacimenti a fine vita. A differenza di quanto si possa pensare, il progetto non prevede di catturare la CO2 dall’aria per abbassarne la concentrazione in atmosfera, ma da attività di impianti inquinanti, scarti industriali e lavorazione di idrocarburi, che grazie al CCS potranno rimanere invariati. In particolare Eni, che possiede più di 60 piattaforme offshore nel Mar Adriatico, ha intenzione di continuare a estrarre metano per la produzione di idrogeno blu, processo che emette CO2 come scarto. Il CCS non diminuirà la CO2 in atmosfera, specialmente se confrontata alle emissioni liberate dagli impianti ai quali vengono abbinati. Il CCS non cambierà Eni, che produce energia da fonti fossili ben oltre Ravenna, in ogni parte del mondo, devastando intere aree prima incontaminate (emblematico è il caso del Delta del Niger)». La conclusione delle associazioni è nettamente negativa:
Il CCS di Eni rallenta la reale decarbonizzazione, sottrae fondi a ricerca e produzione da fonti rinnovabili, apre la strada all’era dell’idrogeno, che con sé porta nuovi gasdotti e monopoli.
Le prossime azioni della campagna NOCCS saranno l’assemblea online il 5 maggio alle 18 e poi mercoledì 12 maggio una mobilitazione nazionale a Ravenna, a Piazza del Popolo dalle 17:00.