La prima volta fu a sei anni. La vidi di colpo e mi emozionai. Non ebbi un attimo di esitazione e la colsi. Allora, 71 anni fa, non era specie protetta e i villeggianti delle Dolomiti ne facevano mazzetti. Da allora le stelle alpine mi sono entrate dentro e, quando posso, le vado a cercare. Patrizia, mia moglie, le fotografa, io le dipingo o disegno, da 37 anni, come capita. Per trovarle bisogna salire oltre i duemila di quota e percorrere i crinali rocciosi dove crescono i pini mughi (il computer intelligente mi corregge: maghi!), dove ci sono i grandi sassi erratici, relitti di sommovimenti glaciali, dove c’è la cotica erbosa fitta di fiori. Le stelle alpine (Leontopodium alpinum, secondo il Linneo) possono restare aggrappate a un filo di terra in cima a un roccione, possono essere sfrontatamente allo scoperto o perfettamente mimetiche.
Basta avere calma e occhio, pazienza e felicità interiore e loro appaiono. Così, come 71 anni fa: allo stesso modo. Solo che ora ce ne sono meno.Si coltivano e si vendono nei negozi di fiori di Cortina o di Ortisei. Perché parlare di stelle alpine? Perché partire da così lontano?
Per voler raccontare delle Dolomiti e di cosa è diventata ormai questa kermesse strapopolare per cui bisogna salire e scendere i famosi passi, i mitici passi dei Giri d’Italia di sempre. Sono 11 anni che le Dolomiti sono state fregiate del titolo di Patrimonio dell’Umanità da parte della speciale commissione dell’Unesco. Fino a 5-6 anni fa se n’erano accorti in pochi, oltre a quelli che in montagna ci andavano da sempre, sin da piccoli con i genitori. Poi in un crescendo degno di miglior causa una folla variegata ha invaso scenari, foreste, valichi, passi, tornanti, rifugi, sentieri. Oggi, Agosto 2020, covid free o non, mascherine al seguito, distanziamento fisico all’occorrenza, un’umanità in numero di centinaia di migliaia, ha preso possesso di questo Patrimonio, salendo e scendendo il passo Pordoi, il Falzarego, il Sella, il Gardena, il Giau, il Rolle, il Menghen, il Gavia, il Valparola per parlare dei più famosi.
Ma come? Per ammirare i lariceti o le abetaie? Per osservare le nocciolaie che cercano le pigne dei pini cembri? Per rimanere colpiti dai gigli Martagone, da quelli di San Giovanni, dalle migliaia di orchidee selvatiche che punteggiano le radure erbose? Per sbinocolare i camosci che si muovono cauti ben in alto tra le forcelle del Sassolungo o le cengie dei monti di Fanes? Per ascoltare l’impressionante richiamo, la “risata”, del Picchio nero, il più grande tra i picchi europei? Le scene invece sono di tutt’altro tenore. Ciclisti in debito di ossigeno, a fatica, in salita e a velocità folle in discesa (anche nei sentieri!). Motociclisti a tutta manetta sia a salire che a scendere. Suv a tutto diesel in competizione con le macchine da corsa, quelle d’epoca, che si improvvisano in un Rally non autorizzato. Famigliole bordo strada che passeggiano con cani al seguito, cani vogliosi di lanciarsi contro chiunque passi in velocità. Il rumore di fondo è impressionante.
L’odore è quello di un centro cittadino. I parcheggi? Dovunque ci siano metri possibili a bordo strada e anche dove il segnale di divieto di transito fa bella mostra di sé. Quindi ci si ferma per mangiare e per fotocellulare, per selfiare sperando in un gradimento con tanti cuoricini.
C’è una domanda d’obbligo: di quale umanità sono Patrimonio Mondiale queste benedette Dolomiti? A vedere tutto dall’alto, mentre si cammina piano in cerca di stelle alpine, la cosa, dovunque si vada, fa impressione. Lontano da tutto questo a stento di riesce a sentire il grido di allarme delle marmotte che temono l’attacco dell’aquila reale ( ma lei, l’aquila, non si vede ). Giù in basso è una caotica corsa al farsi vedere, all’apparire. E pensare che esiste una Fondazione delle Dolomiti Patrimonio che “ha il compito di garantire una gestione efficace del Bene seriale, favorire lo sviluppo sostenibile e promuovere la collaborazione tra gli Enti territoriali che amministrano il proprio territorio secondo diversi ordinamenti”. Appare nel testo la superabusata parola “sostenibile,” tanto per rassicurare tutti. Nei giorni in cui siamo andati a disegnare e a fotografare le stelle alpine non abbiamo visto in giro un vigile, un poliziotto, un carabiniere, una guardia di finanza, un forestale, un guardaparco.
Uno che fosse in giro a far sì che ci fosse educazione e rispetto per una montagna così importante e famosa. Per la verità c’era al passo Falzarego un gentilissimo vecio alpino che raccoglieva fondi per una Onlus e invitava gli automobilisti a parcheggiare in modo “sostenibile”.