Biodiversità in Amazzonia, disegno di Fabrizio Carbone
Biodiversità in Amazzonia, disegno di Fabrizio Carbone

Chico Mendes, 32 anni dopo. Lo ricordiamo così

Il 22 dicembre 1988 il sindacalista e ambientalista brasiliano Chico Mendes veniva assassinato da due "rancheros". Aveva 44 anni e lottava contro il disboscamento della foresta amazzonica. Ricordare la sua storia è fondamentale, oggi più che mai
21 Dicembre, 2020
3 minuti di lettura

Il 22 dicembre di 32 anni fa Francisco Alves Mendes Filho, che tutto il mondo conoscerà poi con il nome di Chico, Chico Mendes, venne assassinato con due colpi d’arma da fuoco alle spalle, a Xapurì, cittadina dello stato brasiliano di Acre, nel cuore dell’Amazzonia, dove era nato. Chico stava per compiere 44 anni. Da mesi cercava di sfuggire ai suoi aggressori che lo avevano “condannato a morte”, scrivendo il suo nome sulle liste affisse alle porte dei bar.

I nomi sulle porte dei bar

Questo modo di agire impunemente ancora vige in tutta l’Amazzonia brasiliana dove comandano i fazendeiros, protetti dal loro esercito privato. “Condannare a morte” chi vuole che si rispettino le leggi, i diritti civili, le regole della vita collettiva comune è una pratica molto in voga. Mendes per anni aveva raccolto la gomma naturale incidendo gli alberi di Hevea brasilensis come tutti i seringueiros. Poi aveva cominciato a lavorare come sindacalista per proteggerli dai soprusi e dalle vessazioni.

 

La copertina del Time e la “rivelazione”

Questo accadeva 32 anni fa. Allora di queste storie e di come l’Amazzonia fosse un girone infernale non ne parlava nessuno dei grandi media. Accadde però un fatto particolare: il settimanale statunitense Time uscì nell’ultimo numero del 1988 con una copertina inaspettata. Non più l’uomo dell’anno ma l’Amazzonia in fiamme: “brucia il polmone verde del mondo” si leggeva nel sottotitolo dell’inchiesta, dove si raccontava anche la storia di Chico Mendes. 

 

Chico_Mendes_in_1988
Il sindacalista, politico e ambientalista brasiliano Chico Mendes

 

Il raduno, i media, Sting. Molto subbuglio per nulla?

Combinazione volle che, febbraio 1989, ad Altamira, villaggio dello stato brasiliano del Parà, i Kayapò, una delle etnie più importanti che vivono lungo il fiume Xingù, organizzassero un grande raduno chiamando a raccolta i popoli indigeni dell’Amazzonia fino ai confini con il Venezuela. Questa volta però i media arrivarono a frotte: televisioni e giornali da tutto il mondo richiamati dall’eco che aveva suscitato due mesi prima l’inchiesta di Time. Arrivò anche il cantante Sting, creando più che altro un gran subbuglio.

Lo scienziato che voleva salvare gli indios

Tra le persone che si incontrarono ad Altamira c’erano i grandi leader indios come Davì Kopevawa e Paulinho Paiakan (ucciso dal Covid pochi mesi fa) e molti i missionari italiani tra cui Angelo Pansa e Carlo Zaquini, infaticabili difensori dei diritti delle popolazioni native. Con loro l’etnobiologo statunitense Darrell Posey, uno scienziato che viveva insieme agli indios per classificare tutti gli organismi vegetali da cui estrarre i principi attivi capaci di curare malattie gravissime. Posey si batteva perché ai popoli tribali fossero riconosciuti i diritti e le royalties per lo sfruttamento, oggi diremo sostenibile, del tesoro forestale amazzonico.

 

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L’equilibrio instabile e le preoccupazioni di Posey

Con Posey ebbi la fortuna di parlare della foresta e di ascoltare le sue preoccupazioni per quello che tutti noi stavamo perdendo. Non dimenticherò mai le parole che mi disse descrivendo lo stato delle cose:

«La furia con cui noi del Primo Mondo ricco stiamo dragando e scorticando le grandi foreste pluviali primarie non solo in Amazzonia ma anche in centro Africa e nel sudest asiatico, questa furia provoca una rottura sconvolgente dei delicatissimi equilibri che si sono andati costruendo in centinaia di migliaia di anni. Milioni di specie animali e vegetali dalle micromuffe ai batteri, dai licheni ai funghi, da tutte le varietà di insetti possibili finora conosciuti, per arrivare ai vertebrati fino alla cima della catena, cioè ai carnivori, hanno convissuto con ogni specie di virus da cui sono stati infettati e che hanno man mano controllato. Noi ora scardiniamo un equilibro instabile senza sapere neppure lontanamente cosa stiamo rischiando. Oggi non posso dire precisamente cosa succederà domani ma certamente qualcosa di grave succederà».

 

Darrell Posey
L’antropologo e biologo Darrell Posey

 

La memoria che brucia

Darrell Posey morirà nel 2001 a 54 anni, lasciando in eredità a tutti noi più di 20 libri e centinaia di articoli scientifici di grande rilevanza. Ricordare Chico Mendes e Darrell Posey vuol dire oggi non perdere memoria di quello che è stato per capire il presente e il futuro. L’Amazzonia brucia da sempre, ferocemente da 35 anni, forse oggi più di prima perché il Brasile che ne possiede due terzi è guidato da un Presidente che favorisce il taglio a raso del legname, gli incendi, incentiva la produzione di soia e mais, non contrasta la penetrazione dei cercatori d’oro nei territori indigeni dei quali ha detto di non avere alcun rispetto, vuole lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Lui, Bolsonaro, non riconosce i cambiamenti climatici e ha fatto uscire il Brasile dagli accordi di Parigi del dicembre 2015.

Post Scriptum

I disegni che allego al testo sono una sintesi grafica a ricordo dell’immensa biodiversità che si può trovare in un metro quadrato di foresta vergine.

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