Lo scorso 3 dicembre il Comitato permanente della Convenzione di Berna, nato nel 1982 per conservare la vita selvatica e il suo habitat naturale in Europa, ha declassato il lupo da specie “rigorosamente protetta” a specie “protetta”. La modifica, frutto della pressione del mondo venatorio e in parte di quello agricolo, entrerà in vigore il prossimo 7 marzo, a meno che i 17 paesi che avevano ratificato la convenzione non si oppongano.
Una coalizione di trecento associazioni si è opposta al declassamento chiedendo all’Ue e agli stati membri di promuovere misure di prevenzione concrete — cani e recinzioni elettriche — contro l’allarmismo che si è creato intorno alla presenza del lupo nei nostri territori.
La forza della passione
Fra queste c’è l’associazione “Io non ho paura del lupo APS”, fondata nel 2016 da Daniele Ecotti, che ne è anche il presidente. Milanese, informatico, a 21 anni sceglie di vivere sull’Appennino parmense. Diventa agricoltore e allevatore bio, produce per oltre un decennio formaggi a latte crudo da latte di bovini al pascolo, fino ad occuparsi delle diverse attività di monitoraggio sul lupo e altri grandi mammiferi. È inoltre educatore ambientale e guida ambientale escursionistica. La forza di “Io non ho paura del lupo” sta nella passione, nella sapienza e nella diversità. L’associazione è formata infatti da professionisti della natura, pastori e contadini. Insieme, ognuno con le proprie competenze, lavorano su più fronti per una convivenza fra umani, lupi e altri carnivori occupandosi di mitigazione del conflitto, comunicazione, ecoturismo.


E proprio con lui abbiamo voluto fare il punto su questa problematica che rischia di riportarci indietro di decenni nella gestione della fauna.
Daniele, dopo il declassamento si aprirà una nuova stagione di sterminio per il lupo?
Il lupo non diventa una specie cacciabile per effetto del declassamento, ma è vero che ogni stato UE avrà più discrezionalità nello stabilire quote di prelievo, regolamentandole con criteri autorizzativi più snelli rispetto ai precedenti. Per quanto riguarda l’Italia, siamo il paese che ha il maggior numero di lupi in Europa e uno dei pochi che non ha un piano di gestione della conservazione della specie, perché, cosa grave, la Conferenza dei Servizi non ha mai raggiunto un’accordo su questo punto. A oggi qui non sono mai stati abbattuti dei lupi legalmente, ma c’è il bracconaggio, che colpisce i lupi in modo feroce.
Quindi qual è oggi la situazione dei lupi italiani?
La raccolta delle carcasse, insieme ai dati dei ricercatori sui lupi dotati di radiocollare, stanno facendo emergere una realtà più grande di quella che vediamo, al punto che dal 2020 al 2024, solo nel parco dell’Appennino Tosco-Emiliano, su nove lupi con radiocollare seguiti dai ricercatori, cinque sono morti di bracconaggio e tre spariti. Quindi è molto probabile che anche quei tre siano stati bracconati, fai la percentuale… I cinque sono stati trovati solo perché avevano il radiocollare, altrimenti i lupi non li trovi.


Allora il declassamento in sé non è il peggiore dei mali?
Il problema di fondo della gestione del lupo è che stabilire delle quote di abbattimento non porta benefici di nessun tipo, come è peraltro dimostrato nei paesi europei che da anni lo fanno: non si smorza il conflitto sociale e non diminuiscono le predazioni. Come in Francia per esempio, lì si abbattono cento lupi l’anno su una popolazione che è un terzo della nostra, quindi è una percentuale legale alta, il che dimostra quanto non sia quella la strada giusta.
Ma di fatto allevatori e contadini preferiscono la doppietta alla prevenzione?
Il problema è politico: contro i grandi carnivori ci sono dei politici e degli estremisti, che continuano ad alimentare paure e a spingere verso questi abbattimenti inutili. Le associazioni di categoria non fanno nulla e i piani di sviluppo rurale sono pensati per le grandi aziende. Le piccole realtà di allevamento al pascolo estensivo non hanno alcun sostegno, sono molto faticose da portare avanti, con gli animali si lavora 365 giorni l’anno, 24 ore su 24. In più sono poco sostenibili dal punto di vista economico e fare prevenzione ha un costo. In questo contesto il lupo che arriva e ti preda è la goccia che fa traboccare il vaso. Senza una corretta informazione, senza sostegno, sparare sembra ad alcuni l’unica possibilità.


A fronte di questa realtà, che strategia adotta oggi “Io non ho paura del lupo”?
Fra le attività c’è il progetto “Cani da protezione bestiame”, al quale abbiamo dato vita insieme all’associazione DifesAttiva, a Coop Eliante e Progetto pasturs. Abbiamo creato una piattaforma online, lavorato su una bozza di legge che normi l’utilizzo dei cani e li tuteli, insieme agli allevatori e al territorio, perché c’è un vuoto normativo importante. Abbiamo ideato un cartello segnaletico unico, immediatamente riconoscibile e che dia indicazioni su come comportarsi con i “cani da pastore”, perché oggi ci sono oltre dieci cartelli disomogenei in Italia.
Stiamo cercando di avere adesioni da enti e istituzioni perché venga adottato ufficialmente. Finora abbiamo distribuito oltre 500 cartelli a più di 100 allevatori che ne hanno fatto richiesta, siamo in 14 regioni e in 45 province. Inoltre noi come associazione, abbiamo istituito un Fondo per la coesistenza, per aiutare materialmente le piccole realtà che sono escluse dai contributi pubblici.
Come ottengono il cartello unico gli allevatori?
Ce lo chiedono e noi glielo mandiamo gratuitamente. Chiediamo loro una piccola liberatoria e dei dati: dove sono, quanti animali allevano, in modo che questo progetto possa avere degli sviluppi futuri. Un cartello segnaletico chiaro è importante: la maggior parte degli allevatori che utilizza cani da protezione del bestiame ti dice che i lupi sono l’ultimo problema, che i problemi spesso sono rappresentati dalle persone che non si sanno comportare con i cani. E dalla politica che portano avanti le istituzioni, perché i pastori – con i loro cani – non son considerati per quello che sono, i custodi del territorio. Fanno un lavoro fondamentale, del tutto misconosciuto.


Come organizzate il vostro lavoro d’informazione e mediazione con le comunità?
Chiunque ci può contattare attraverso il nostro portale, sia per saperne di più che per richiederci un incontro dal titolo “Conoscere il lupo“, per gli adulti e le scuole. In questi incontri andiamo a raccontare il lupo vero, non quello che vive nella testa di troppe persone. Affrontiamo tutti gli aspetti, i problemi e le paure, legati alla sua presenza. Sul portale c’è anche il link per vedere il documentario che abbiamo prodotto, The wolf within, e scaricare il Vademecum informativo sul lupo, il tutto gratuitamente. Anche i nostri incontri sono gratuiti, chiediamo un rimborso per lo spostamento e se siamo distanti dalla sede, un appoggio logistico per la notte. Poi siamo sui social, escluso X.
E il nostro canale Youtube è ricco di storie di convivenza e frammenti di vita selvaggia.