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Di quale resilienza dobbiamo parlare

Una parola sempre più di moda, che, per la sua complessità, rischia di venire banalizzata o fraintesa. La resilienza di cui abbiamo bisogno è quella in grado di trasformare il mondo globalizzato, lavorando contro la resilienza del Sistema insostenibile in cui viviamo. A partire dalla scuola e dal sistema educativo
2 Marzo, 2020
2 minuti di lettura

Resilienza è una parola sempre più di moda, ovviamente nel mondo ecologista, della lotta contro il cambiamento climatico, dell’Educazione Ambientale e alla Sostenibilità,  ma anche nel mondo politico e dello spettacolo. Resilienza come valore a cui tendere, come caratteristica desiderabile e per la quale impegnarsi nella trasformazione verso un mondo più sostenibile. 

In realtà, se guardiamo le sue origini (resiliens, che resiste, che rimbalza)  e le sue definizioni – resilienza, in fisica è la  proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi,  in ecologia, è la velocità con cui una comunità (o un sistema ecologico) ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione –  la resilienza è quella caratteristica che si oppone al cambiamento, individuale, sociale, ed ecologico. Certo se il cambiamento è peggiorativo o traumatico, la resilienza del sistema è un vantaggio, e in psicologia, infatti, la resilienza è definita, come,  la capacità di reagire di fronte a traumi, difficoltà, ecc.…

Ma in un Mondo Globalizzato da uno sviluppo insostenibile  il cambiamento è necessario, e la resilienza è una caratteristica di cui tenere conto proprio per trovare la maniera di contrastarla.  Quando si vuole operare una trasformazione, profonda come quella richiesta dalla costruzione di una società sostenibile, la resilienza del sistema di partenza è un ostacolo.

L’Agenda 2030 si propone di eradicare la povertà, di non lasciare nessun indietro, di costruire sistemi educativi inclusivi e di qualità; come farlo se il Sistema è resiliente e capace di assorbire i cambiamenti lasciando quasi inalterati i risultati? 

 

Guarda il video istituzionale dell’ASVIS sull’Agenda 2030

 

Se riflettiamo ad esempio sul sistema educativo italiano, molti cambiamenti che si proponevano di essere sostanziali sono stati abbandonati o metabolizzati: pensiamo al tempo pieno nella scuola dell’obbligo, alla sua funzione sociale, ovvero quella di permettere a tutti e due i genitori di lavorare, alla funzione formativa e socializzante, con momenti di studio e di lavoro di gruppo alternati a momenti di apprendimento più individuale, alla programmazione congiunta degli insegnanti, alla ‘valutazione’ come formativa, in quanto rivela allo stesso studente quali sono le conoscenze e le competenze che può migliorare.

Cosa è rimasto di questo impegno? E quel che è rimasto come e dove è distribuito?  Come per la sanità e i servizi sociali  quel poco che è rimasto è distribuito in maniera disuguale: più possibilità laddove c’erano già migliori opportunità.

Ma sono tanti i cambiamenti proposti al  sistema educativo e culturale negli ultimi  20 anni che sono rimasti sulla carta o hanno fatto marcia indietro, dalla partecipazione della scuola alla vita della comunità, alla formazione degli insegnanti. 

Gli stessi educatori, quelli che dovrebbero essere agenti di cambiamento hanno perso motivazione, e volte anche competenze. Soprattutto hanno perso visione di futuro:  un futuro in cui l’educazione al cambiamento e non alla ripetizione sia la regola. Le competenze degli educatori sono di fatto essenziali per la trasformazione del sistema di governance nel suo insieme, a partire da quello educativo.

E allora sì, che l’educatore, preparato ad essere agente di cambiamento,  deve anche imparare ad essere  resiliente: per poter continuare a  lavorare contro la resilienza del Sistema, per ottenere  trasformazioni, cambiamenti duraturi, che costituiscano un nuovo stato di equilibrio, e che diventino quindi a loro volta resilienti.

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