Una conferenza stampa in Regione Lombardia durante l'emergenza Covid-19
Una conferenza stampa in Regione Lombardia durante l'emergenza Covid-19

Il giornalismo ai tempi del Coronavirus. È un nuovo inizio o solo l’inizio della fine?

Qual è il ruolo dei giornalisti? Stanno facendo il proprio dovere in questo periodo di emergenza sanitaria? Il dibattito è aperto. Voi cosa ne pensate?
7 Aprile, 2020
2 minuti di lettura

Il 20 marzo, sembra un secolo fa, mi sono lasciato andare a uno sfogo sul mio profilo Facebook nel quale me la prendevo con la mia categoria. Ho riproposto alcuni versi di “Io, se fossi Dio” di Giorgio Gaber. La parte nella quale se la prendeva con chi ha la libertà di pensare, ma non lo fa, preferendo il gusto della lacrima in primo piano e ci bollava tutti come cannibali necrofili, deamicisiani e astuti. Non c’era ancora stata la preghierina in diretta tv di Barbara D’Urso, che giornalista non è più perché uscita dall’Ordine nel 1995 dopo aver girato alcuni spot pubblicitari, e neppure il predicozzo motivazionale di Urbano Cairo a spronare i suoi venditori di pubblicità per cogliere le innumerevoli opportunità che questa emergenza sta offrendo per rimpolpare i conti del Corriere della Sera e altre sue iniziative editoriali.

Bollettini, percentuali e tamponi

Ero semplicemente infastidito dai bollettini preprandiali della Protezione Civile e della Regione Lombardia. I numeri che ci propinano non hanno senso se non contestualizzati e raccolti con rigore scientifico. Quelli della Regione Lombardia, poi, mi sembrano particolarmente allarmanti e controproducenti perfino per chi li diffonde proponendosi di fare bella figura.

C’è stato un momento (ora non so, perché non ho voglia di aggiornare la contabilità dei morti e cambio canale appena appaiono Gallera e il mio omonimo) in cui la percentuale di decessi rispetto al numero dei contagiati era addirittura superiore al 10%, quando i dati generali dovrebbero essere intorno al 2%, un quinto. Ovviamente, se fai i tamponi soltanto a chi è costretto a farsi ricoverare in ospedale, le percentuali sono queste.

Quello che mi faceva indignare, oltre al fatto che nessun collega avesse fatto notare l’inutilità di simili dati, era che nessuno ponesse altre domande.

In attesa delle domande giuste

Per esempio: come farete a implementare in poco tempo il numero di posti letto in terapia intensiva? Di quanti sono aumentati rispetto a ieri, alla scorsa settimana? Perché per un mese, da quando a fine gennaio è stato dichiarato lo stato di emergenza, non avete preso alcuna decisione? Non ne ho sentita neppure una di domanda di questo tenore, eppure era evidente che le unità di terapia intensiva e sub intensiva sarebbero arrivate presto al collasso. Tutti buoni ed educati ad aggiornare il tabellino del numero dei contagiati (fittizio), quello dei morti e dei guariti (probabilmente reali). Poi tutti a far servizi a caccia dell’infermiera esausta, del medico altrettanto stanco e sconsolato, del virologo più o meno famoso e attendibile. Un po’ poco. Che avesse ragione Gaber?

Rinascita o fine?

Nell’ultimo weekend, curiosamente sono usciti due articoli, di tenore opposto, sul ruolo del giornalismo ai tempi del Covid-19. Uno a firma di Riccardo Luna su Repubblica , che sostiene sia iniziato il futuro del giornalismo e annuncia potrebbe essere addirittura meglio di prima. Per sostenere questa tesi, l’ex direttore dell’Agi, esprime questo elogio: «I cronisti che ci stanno informando dalle trincee degli ospedali, quelli in grado di spiegare il linguaggio di virologi ed epidemiologi, gli analisti dei dati che sanno dare il vero significato dei numeri che ci travolgono ogni giorno, e i raccontatori di storie, gli unici capaci di rendere la dimensione epica della nostra straordinaria quotidianità. Ecco, il giornalismo, il grande giornalismo… complessivamente ce la sta facendo».

Riccardo Luna, giornalista
Riccardo Luna, editorialista di Repubblica

 

L’altro a firma di Carmelo Palma, direttore di Stradeonline  che lamenta:

«Non so per quale malinteso spirito di servizio politico-patriottico la generalità dei telegiornali italiani abbia scelto non di informare, ma di collaborare alla “comunicazione” dell’esecutivo».

Poi rincara la dose: «Tutto questo non è informazione».  E ancora: «In troppe aree i picchi di mortalità sono molto superiori a quelli dei “morti ufficiali” da Coronavirus e le ragioni non hanno nulla, letteralmente nulla a che fare con lo #statetuttiacasa (e se ce l’hanno, ce l’hanno in un senso sinistramente opposto)». Voi cosa ne pensate?

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