L’Onu cita Taranto tra le aree più inquinate al mondo: «Violati i diritti umani»
L’area dell’ex Ilva tra i luoghi più inquinati del pianeta secondo un report di gennaio delle nazioni unite. Un documento che chiama Stato e attori economici alle proprie responsabilità, ancora una volta
Si parlerà anche di Taranto, nelle prossime settimane, presso il Consiglio per i diritti umani dell’Onu. Di diritti violati a Taranto. Avrà luogo infatti a Ginevra, dal 28 febbraio all’1 aprile, una sessione del Human rights council che prevede, tra le tante attività, la valutazione di un rapporto pubblicato il gennaio scorso.
Il report riguarda gli obblighi in materia di diritti umani relativi al godimento di un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile.
Il documento si intitola The right to a clean, healthy and sustainable environment: non-toxic environment. È frutto del lavoro del relatore speciale dell’Onu per diritti umani e ambiente, David R. Boyd, insieme al relatore speciale per le implicazioni sui diritti umani della gestione e smaltimento di sostanze e rifiuti pericolosi, Marcos Orellana. In esso, tra le zone di sacrificio individuate nel mondo, si cita l’area dello stabilimento siderurgico dell’ex Ilva di Taranto, che per decenni ha compromesso la salute e violato i diritti umani della popolazione.
Proprio quel diritto a un ambiente pulito, salubre e sostenibile riconosciuto come diritto umano, per la prima volta a livello globale, dallo stesso Human rights council lo scorso 8 ottobre. Il rapporto prende il via da quel punto di svolta nell’evoluzione dei diritti umani, per evidenziare già nell’introduzione come il mondo sia
«piagato da ingiustizie ambientali incalcolabili, incluse delle “zone di sacrificio” in cui le comunità sono esposte a livelli estremi di inquinamento e di contaminazione tossica»
Una “nuova” categoria di ingiustizia ambientale
L’espressione zone di sacrificio, che risalta nel rapporto, risale alla guerra fredda. Indicava siti resi non abitabili da esperimenti nucleari (condotti da USA, Unione Sovietica, Francia e Regno Unito) per i livelli alti e persistenti di radiazioni. Entrata da diversi anni nel lessico ecologista, la frase definisce oggi un luogo ambientalmente devastato, ad esempio da processi estrattivi, con impatti sulle comunità residenti, di solito già in condizioni di marginalità. Una logica coloniale, insomma.
L’accento del report Onu è sulle persone che, per il fatto di vivere in un posto altamente inquinato, soffrono gravi conseguenze nella salute fisica e mentale e subiscono violazioni dei propri diritti umani.
Spesso create dalla collusione di Governi e interessi economici, queste zone sono l’esatto contrario dello sviluppo sostenibile, poiché nuocciono alle generazioni presenti e future. Le persone che vi abitano sono sfruttate, traumatizzate e stigmatizzate. Anche la crisi climatica, sottolinea il rapporto, sta creando un nuovo tipo di zone di sacrificio.
Per quanto riguarda Taranto e l’ex Ilva, si legge nel documento:
«In coloro che risiedono nelle vicinanze si registrano elevati livelli di malattie respiratorie, disturbi cardiaci, tumori, malattie neurologiche debilitanti e mortalità prematura»
Un’ennesima conferma. Ma il report puntualizza anche che «Le attività di decontaminazione e bonifica che sarebbero dovute iniziare nel 2012 sono state rimandate al 2023, mentre il Governo ha introdotto speciali decreti legislativi per permettere all’impianto di continuare ad operare. Nel 2019, la Corte europea dei diritti umani aveva concluso (condannando l’Italia – ndr) che l’inquinamento ambientale stava continuando, mettendo in pericolo la salute di quanti ne avevano richiesto l’intervento e, più in generale, dell’intera popolazione che viveva in quell’area a rischio».
Obblighi e responsabilità
Il relatore speciale evidenzia come al diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile corrispondano necessariamente doveri e responsabilità degli Stati e degli attori economici. Per gli Stati, il rapporto contiene diverse raccomandazioni. Ad esempio, in una situazione di inquinamento e contaminazione gli stati dovrebbero attenersi a principi di prevenzione e precauzione (tra le buone pratiche, l’eliminazione dell’uso di sostanze tossiche), non discriminazione (intervenendo in favore delle comunità più colpite) e non regressione sul problema grazie all’adozione di standard scientifici e linee guida internazionali. E speciali doveri verso i più fragili, come i bambini.
«Le zone di sacrificio rappresentano il peggior fallimento immaginabile rispetto al dovere di uno Stato di rispettare, proteggere e garantire il diritto a un ambiente pulito salubre e sostenibile», leggiamo nel rapporto.
Pochi giorni fa il nostro paese ha riformato gli articoli 9 e 41 della Costituzione. Prevedendo limiti all’iniziativa economica privata, a tutela della salute e dell’ambiente, e con determinazione di programmi e controlli per indirizzarla (l’iniziativa economica, sia pubblica che privata) a fini sociali e ambientali. Così leggiamo con sollievo che in queste ore i soldi destinati alle bonifiche (si, proprio a Taranto) di alcune aree, dopo qualche settimana di dibattito da “coperta troppo corta”, sono stati confermati nel Milleproroghe. Un primo passo, in un’urgente inversione di rotta.
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- Laurea in comunicazione, specializzazione in marketing e comunicazione nel Non Profit. Per 15 anni mi sono occupata di comunicazione e formazione nell’ambito del consumo critico e del commercio equo, trattando temi quali l'impatto delle filiere a livello locale e globale su persone, risorse, territori, temi su cui ho anche progettato e condotto interventi nelle scuole. Dal 2016 creo contenuti online per progetti, associazioni, professionisti.
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