Rendo omaggio al pangolino, questo piccolo grande mammifero squamoso, sdentato e con grande lingua, abitante di aree vastissime del pianeta, dalla Cina alle Filippine, a tutto i Sud-est asiatico fino alle foreste dell’Africa subsahariana.
Piccolo di appena 3 chili e mezzo, grande fino a 33 chili di peso e quasi un metro di grandezza, se ne conoscono molte specie ma tutte in grave pericolo di estinzione perché oggetto di caccia a dir poco sfrenata. Viene ucciso, illegalmente, per le sue carni definite prelibate e per le sue squame di cheratina (la stessa sostanza dei nostri capelli) che piacciono tanto agli orientali: polverizzate infatti fanno parte di quell’immenso bazar della medicina tradizionale, soprattutto cinese, che non serve a nulla.
Così rendo omaggio a questo tenerissimo esemplare della famiglia dei manidi, contro cui si è accanita la peggiore crudeltà immaginabile: una volta ucciso il pangolino viene esposto, diciamo ammucchiato, dopo essere stato maciullato, triturato e scorticato in quei luoghi disgustosi e putrescenti che sono i mercati della fauna selvatica in Asia (soprattutto Cina) e nei mercati del bush meat africano.
Il pangolino è stato citato in giudizio dai media del Primo Mondo Ricco come untore, colpevole, insieme al pipistrello (genericamente) di aver trasmesso il Sars-cov-2 da animale a uomo. Per questo i pangolini sono stati demonizzati ma non si è avuto il coraggio di parlarne come incolpevoli e di descrivere il loro comportamento e la loro interessante storia biologica. Direi più che interessante visto che erano già presenti sul pianeta 48 milioni e 700mila anni prima dell’apparizione dell’Homo sapiens, a cui recentemente è stato aggiunto un secondo sapiens, tanto per non sbagliare.