In Romagna, a quasi due mesi dall’alluvione, la popolazione fa i conti con una situazione in lento miglioramento, tra turbamenti, impegno e solidarietà, per non dimenticare di essere una comunità che si rinforza con l’organizzazione dal basso per ricominciare, nonostante tutto. Le piogge sono continuate fino a giugno inoltrato, e in parte anche a luglio, in maniera breve e sporadica. I canali e i pozzi si riempiono non appena gli scrosci si intensificano, provocando ancora disagi e allagamenti. L’acqua invade anche le menti dei cittadini, spesso incapaci di distrarsi dal pensiero di quello che è stato. Difficile per i romagnoli non ripensare alla spaventosa piena che ha invaso le strade: una quantità d’acqua tanto abbondante che si fatica a immaginare senza ascoltare i racconti di chi l’ha vissuta. Il ricordo della violenza dello straripamento è rintracciabile nelle voci spezzate delle persone.
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Una comunità migliore, tra fango e Raee
Consultando i social network si scoprono numerose iniziative costruttive che aziende, società civile e settore pubblico hanno messo in atto per fronteggiare le incombenze più immediate e per dare risposte sul lungo termine. Le reti sociali telematiche hanno permesso il coordinamento degli interventi del volontariato e un’efficace comunicazione pubblica. Hanno messo in contatto chi aveva perso tutto e chi poteva donare beni di prima necessità, mobili, elettrodomestici e tanto altro. In chi possiede un’intelligenza ecologica si fa spazio tra le proprie preoccupazioni il destino dei rifiuti accumulati, in particolare i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche per la loro peculiare difficoltà di smaltimento. Numerosi computer sono stati salvati dagli hackers dell’associazione Root Club, un circolo con sede vicino a Cesena che da anni ripara i dispositivi rifiutati dai centri di assistenza, gratuitamente o a prezzi modici, permettendo ai propri utenti di acquisire competenze hardware, nel segno dell’autogestione. «Abbiamo deciso di istituire un punto di raccolta per le richieste di assistenza riguardanti il recupero di apparecchiature informatiche e il recupero dati», si legge nel comunicato pubblicato sul loro sito in cui informano dell’apertura di un gruppo Telegram appositamente creato per raccogliere le richieste di aiuto.
«È un momento in cui dobbiamo unirci e fare del nostro meglio per aiutare l’uno l’altro».
Tale esperienza può essere vista come l’esempio da cui partire per diffondere altri RepairCafé sul territorio nazionale che potrebbero fungere da squadre per intervento puntuale in caso di emergenza.
Ecologia e senso civico
Sempre sui social è apparsa la proposta di un utente che ha fatto notare come spesso un semplice intervento di pulizia e asciugatura possa salvare gli elettrodomestici dalla discarica. Il suo nome è Mauro Franceschelli e vive nel ravennate. Tecnico elettronico soprannominato “no problem”con esperienza nella Protezione civile e nella Guardia costiera. A muovere il suo slancio di solidarietà e impegno è, spiega: «Una combinazione di sensibilità ecologiche e civili». Con Facebook ha attivato una linea per ricevere le richieste di intervento e radunato una squadra di persone che si sono occupate della riparazione. Una procedura molto semplice: «Le componenti interessate vengono smontate e accuratamente lavate, messe in forno e poi pesate ogni 30 minuti per verificare l’evaporazione dell’acqua». In poco tempo, grazie ai social, chi non aveva idro-pulitrice e bilancia ha potuto fare richiesta e riceverne in prestito. La stima è di 2234 apparecchi salvati.
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Un piano d’emergenza nazionale
Il colloquio con questo studioso curioso e appassionato si è allargato fino a considerare una scala più ampia. Il suo parere è che manchi a livello nazionale un Piano di emergenza: « Un piano che sia comprensibile alle persone, che contenga comunicazioni e linee guida su come comportarsi in casi simili, che preveda esercitazioni periodiche di risposta al rischio e che sia utile a rafforzare una cultura del riuso e a minimizzare i danni da inquinamento». Francesco ha un progetto: creare una Disaster Recovery task force, partendo dall’assunto che non è stato impossibile gestire l’attività di assistenza e riparazione, quasi da solo, nemmeno durante la prima settimana di attività durante la quale arrivava a ricevere anche 170 telefonate al giorno, alcune delle quali motivate dalla semplice esigenza di sfogarsi e confidarsi con qualcuno che stesse ad ascoltare.
Tin bota, tra balere, tagliatelle e azdore
Un’altra prova di efficacia dell’impegno civile solidale autogestito è rappresentata dal contributo delle Cucine popolari di Cesena. «Nella fase immediatamente successiva all’alluvione abbiamo distribuito più di cinquecento pasti per due volte al giorno», dichiara un volontario impegnato nella distribuzione dei pasti a domicilio. Oggi, a settimane dall’alluvione «ne prepariamo e consegniamo ancora circa ottanta». Un impegno considerevole, portato avanti da un’organizzazione forte dell’esperienza maturata in molti anni di sostegno alimentare agli svantaggiati. La stessa associazione ha avuto la sede danneggiata dalle piogge e ha quindi trovato accoglienza nei locali di un circolo per la terza età. Ed è qui che si rintracciano molti dei luoghi comuni sui romagnoli: la logistica si organizza in uno spazio solitamente destinato a una balera; nella cucina a fianco alcune signore con grembiule e foulard (le cosiddette “azdore”, ossia matrone) sono alle prese con i fornelli; tegami pieni di tagliatelle e boccioni di vino; il tipico vociare con la simpatica cadenza romagnola e l’immancabile modo di dire “tin bota” ossia “non mollare”.
Un muro tra rappresentati e rappresentanti politici
La cooperazione dal basso può mitigare l’impatto della crisi ecologica e dare insegnamenti utili sul lungo termine. Ma senza un settore pubblico che imponga un ripensamento del sistema produzione-consumo e che metta al centro i beni comuni e la salute del territorio, sforzi come quelli raccontati non rappresentano la soluzione.
Come si può agire efficacemente su larga scala se la Legge sul consumo di suolo è bloccata dal 2012 e una Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici approvata con decreto nel 2015 è ancora in fase di procedura di valutazione ambientale strategica?