Bastano pochi fotogrammi di No Other Land a testimoniare quanto sia sistematica, incessante e senza pietà l’avanzata delle ruspe israeliane sui dodici villaggi palestinesi che compongono la comunità di Masafer Yatta, nella Cisgiordania del sud. Questo documentario, realizzato tra il 2019 e il 2023 da giornalisti e attivisti palestinesi e israeliani, vale a dire Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor, nasce in co-produzione fra Palestina e Norvegia. E sarà distribuito in Italia da Wanted dal 16 gennaio dopo la prima mondiale al Festival di Berlino nel febbraio 2024, dove ha vinto il Panorama Audience Award for Best Documentary Film e il Berlinale Documentary Film Award.
Resistere allo sfollamento
Durante i 95 minuti della pellicola vedremo solo due di loro, il palestinese Basel e l’israeliano Yuval, alleati per cinque anni a filmare gli sforzi degli abitanti per resistere al brutale sfollamento dell’area estesa su circa 35.000 dunam di terra (equivalenti a 3.500 ettari), a sud di Hebron, dove alcune comunità agricole vivono da generazioni. Tutta la zona collinare, alla fine degli anni Ottanta, è stata dichiarata dall’esercito israeliano Firing Zone 918, al fine di espropriare i palestinesi dalle loro case e rafforzare i propri insediamenti, in contrasto con il diritto internazionale, che proibisce di espellere una popolazione dalla sua terra e di utilizzare le terre occupate per l’addestramento militare.
Minaccia quotidiana
Da allora, i residenti vivono sotto la minaccia quotidiana di demolizioni, sgomberi ed espropri: un perenne tragico alternarsi di ruspe e di carri armati, di ricostruzioni e nuove demolizioni. Alle famiglie di Masafer Yatta viene negato l’accesso alla terra, alle strade, alle fonti d’acqua, alle scuole, ai servizi medici e agli ospedali. A ciò si aggiungono le violenze quasi quotidiane da parte dei coloni, sempre più armati, presenti nella regione.
L’offensiva dei coloni
La creazione di aree destinate ai militari, secondo quanto riportano da anni gli osservatori internazionali, è uno dei pretesti usati da Israele per costringere i palestinesi ad abbandonare le terre su cui poi costruire nuovi insediamenti. Interrompendo la continuità territoriale e tagliando le vie di comunicazione tra i villaggi palestinesi, l’esercito si assicura il pieno controllo della zona e prepara l’espansione delle colonie.
Dopo il 4 maggio 2022, quando l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto la petizione dei residenti, c’è stata un’ulteriore escalation delle politiche di annessione e segregazione razziale di Israele, divenuta ancora più implacabile dopo il 7 ottobre 2023. È dello scorso 7 gennaio la notizia che il ministro delle finanze Bezalel Smotrich è tornato a chiedere «un’operazione di ampia scala» in Cisgiordania, in stile Gaza.
Riflessioni sullo schermo
No Other Land (il titolo è tratto dal lamento di una madre palestinese che dice che la sua famiglia non ha un altro posto dove andare) oltre a documentare i fatti in tempo reale, alternando immagini d’epoca che risalgono agli anni Ottanta, offre diversi momenti di riflessione dei due protagonisti rispetto al conflitto, alle possibili soluzioni e al ruolo della comunicazione. Cosa succede, si chiedono i due attivisti, dopo che un video ha commosso l’Occidente? E come tramutare la commozione in una presa di posizione contro Israele?
Fermare l’apartheid
«Stiamo realizzando questo film insieme, come gruppo di attivisti e registi palestinesi e israeliani, perché vogliamo fermare l’espulsione della comunità di Masafer Yatta e resistere alla realtà di apartheid in cui siamo nati, da lati opposti e disuguali. Questo film è una proposta per un modo alternativo in cui israeliani e palestinesi possono vivere in questa terra, non come oppressore e oppresso, ma in piena uguaglianza», hanno scritto i filmmaker nelle note di regia.
Risuonano le parole dello storico israeliano Ilan Pappé, autore della Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina (Fazi Editore, 2024), durante una lunga intervista rilasciata ad Andrea Colamedici (si può ascoltare, sottotitolata, sul canale YouTube di Tlon), secondo il quale una nuova generazione si appresta a modellare il futuro della Palestina. Una generazione di giovani che si presentano più uniti dei predecessori, divisi tra fazioni politiche. E anche più connessi, grazie a internet e malgrado la spedizione fisica, nel chiedere «una Palestina democratica dal fiume al mare».
Uguaglianza e pari diritti
Pappé vede nella loro capacità di organizzarsi la possibilità di un loro successo: «Una volta che saranno organizzati, e spero che lo saranno, penso che cambieranno il gioco. Perché se il mondo fosse convinto che la principale richiesta palestinese è l’uguaglianza e pari diritti per ebrei e arabi, in un vero e proprio stato democratico – non partizione, non autonomia, non batustan, ma un post apartheid in Palestina – il mondo potrebbe farsene carico come mandato internazionale».
Una Palestina libera in cui Basel possa girare sicuro e senza impedimenti, proprio come il suo amico Yuval.