Si comincia dalla lingua. Perché la sua scrittura nasce dall’incompiutezza esistenziale, i suoi personaggi vagano nei meandri delle città e della psiche e tra le pieghe della verità nascosta, le sue opere rimangono volutamente incompiute, senza fine e senza una vera risoluzione, persino nel caso del delitto del suo romanzo più famoso, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Benvenuti nell’anno di Carlo Emilio Gadda che questo 2023 celebra nei 100 anni dalla nascita (il 14 novembre 1923) e 50 dalla morte (il 21 maggio 1973).
«Dal 2 gennaio pubblichiamo a cadenza fissa una delle sue parole inventate per spiegarne i significati e le diverse sfumature», spiega infatti il professor Claudio Vela, raccontando la prima di molte iniziative. «L’impulso segue la scia del Gaddabolario, il dizionario recentemente pubblicato da Carocci in cui 61 gaddisti approfondiscono 219 termini della sua inimitabile lingua, da ‘arfasatti’ a ‘impisciare’ e ‘demarrare’». Nessun numero è ovviamente casuale: 219 è il civico di via Merulana teatro dello “gnommero” del suo romanzo più noto.
Libri ed epistolari, spettacoli, mostre e tour guidati: le iniziative fioccano per rendere degno omaggio ad un autore sempre più amato e tradotto, segnato dalle contraddizioni di chi, vissuto come lui a cavallo di due secoli, ha visto sgretolare le certezze filosofiche, politiche e sociali di fine Ottocento ed ha incarnato la nevrosi angosciante della modernità novecentesca. Prima ingegnere e poi scrittore.
Prima fascista interventista e poi feroce dilaniatore della retorica mussoliniana. Prima realista e poi frantumatore e inventore di linguaggi. È stato un uomo “tra”, Carlo Emilio Gadda, il Gaddus, come spesso si firmava.
Mentre il teatro Franco Parenti ha appena affidato ad Anna Nogara la messinscena della novella Il racconto dell’incendio di via Keplero, della delusione e della rabbia raccontate nel Giornale di guerra e di prigionia si è fatta carico Adelphi che ne ha appena pubblicato una nuova edizione, arricchita da sei taccuini finora sconosciuti e inediti, soprattutto quelli del 1917 che raccontano di Caporetto e della prigionia. Il volume è il resoconto del sottotenente Gadda che tra le trincee della Grande Guerra si sente depresso e funereo, sprofondato in un inferno dantesco che gli rivela quanto la guerra non sia né «necessaria né santa» come aveva auspicato. Sono pagine sconfortate e dure, segnate dalla “vita pantanosa” di caserma; dall’incompetenza dei grandi generali; dall’’’egotismo cretino degli italiani” e dall’indegnità morale dei vigliacchi, degli imboscati, dei profittatori, quelli che costringevano gli alpini a marciare con le scarpe rotte.
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Milano, città natale poi lasciata per Firenze e, infine, per Roma, prepara intanto un itinerario ad hoc nella città, sull’esempio di quelli dedicati a Manzoni e Carlo Porta, mentre tra i molti progetti del Cantiere Gadda inaugurato pochi mesi fa presso il Dipartimento di musicologia e beni culturali dell’Università di Pavia per approfondire le ricerche sulla sua opera e far da raccordo alle celebrazioni, c’è anche una mostra immersiva che vuole rendere visibile al grande pubblico l’officina del grande prosatore del Novecento.
Trasformare in un itinerario visivo il sapere tecnico-scientifico, la letteratura e la filosofia per esaltare le tre strade che hanno segnato il suo percorso di uomo e di artista.
Figlio di un industriale tessile lombardo e di una professoressa ungherese, il giovane Gadda avrebbe voluto dedicarsi agli studi letterari, ma viene convinto ad iscriversi a ingegneria dopo che la morte del padre precipita la famiglia dall’agiatezza alle ristrettezze economiche. Sarà ingegnere fino al 1940, a intermittenza, mentre intanto inizia a collaborare con alcune riviste letterarie importanti, come Solaria e con il quotidiano Ambrosiana.
A Firenze, dove vive dal 1940 al ’50, Gadda scrive la raccolta di racconti di ambiente milanese L’Adalgisa mentre poi a Roma lavorerà come autore radiofonico alla Rai e si cimenterà con la sua produzione letteraria più matura e famosa, su tutti il Pasticciaccio, storia delle indagini del molisano commissario Francesco “don Ciccio” Ingravallo sul delitto e sul furto avvenuti nel palazzo di via Merulana, a Roma, numero 219. Un testo cardine della letteratura del Novecento, portato al cinema e a teatro. Ma anche La cognizione del dolore, sulla conflittuale relazione con la madre e la sessualità, e Eros e Priapo: da furore a cenere, sull’insanato rapporto con il potere.
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E’ stato Italo Calvino, nella lezione sulla “molteplicità”, a presentare Carlo Emilio Gadda come colui che «cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento».
Calvino ne intuì le moltiplicazioni infinite, le divagazioni che portano allo smarrimento, la teoria del romanzo come grande rete.
Doveroso rendergli omaggio oggi, che nella rete della perdita del pensiero e del senso ci siamo finiti per davvero. Buon anno gaddiano a tutti.
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