Dal 18 marzo, da quando il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza è finito, da quando Israele ha ripreso a bombardare e a rioccupare l’area, sono state uccise oltre mille persone. Con la complicità dell’Europa, degli Stati Uniti. E di chi continua a normalizzare il genocidio e le guerre, accettando la trasformazione del mondo globalizzato in un campo di scontro.
L’alibi dell’autodifesa e il silenzio dell’Occidente
Un mondo guidato dalle politiche di potenza e dagli istinti nazionalistici. Lo scorso 24 marzo, l’Alta rappresentante per la politica estera e sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas, nella conferenza stampa congiunta con il ministro israeliano degli Affari esteri, Gideon Sa’ar a Gerusalemme aveva dichiarato: «Israele ha il diritto all’autodifesa contro gli attacchi terroristici, che provengano da Hamas, dagli Houthi o da Hezbollah ma le azioni militari devono essere proporzionate e gli attacchi israeliani in Siria e Libano rischiano un’ulteriore escalation».
Per poi aggiungere: «La sicurezza di Israele è estremamente importante per l’Unione Europea. Gli israeliani devono potersi sentire al sicuro nelle proprie case. I passaggi fondamentali sono la riaffermazione del cessate il fuoco, la garanzia del rilascio di tutti gli ostaggi e la ripresa del flusso di aiuti umanitari a Gaza, con l’obiettivo di un cessate il fuoco permanente. L’Unione Europea può aiutare, sia ribadendo la nostra missione di attraversamento del valico di Rafah, sia fornendo maggiore assistenza umanitaria».


Le minacce di Trump
Man forte agli attacchi militari e alla rottura del fragile equilibrio della tregua era stata data già da Trump, ai primi di marzo, nel suo stile, oltre ogni esercizio diplomatico: «Hamas liberi tutti gli ostaggi e abbandoni la Striscia altrimenti si scatenerà l’inferno». E continuando a minacciare gli abitanti delle Striscia dai social: «Alla gente di Gaza: avete un futuro luminoso, ma non sarà così se trattenete degli ostaggi. Se lo fate, siete morti, prendete la decisione giusta… Liberate tutti gli ostaggi ora, non dopo, e consegnate immediatamente i resti delle persone che avete ucciso, altrimenti per voi è finita». E ancora: «Questo è l’ultimo avvertimento! Per la leadership (di Hamas) è arrivato il momento di lasciare Gaza, finché può. Nessun vostro membro sarà al sicuro se non farete ciò che dico».
Senza cure né diritti
Ma a Gaza l’inferno già c’è, si continua a morire: le vittime stimate dall’inizio della guerra sono tra i 50.000 e i 70.000 palestinesi, il diritto umanitario viene violato continuamente. Lo conferma Medici Senza Frontiere che ha lanciato all’allarme: c’è il rischio di lasciare i palestinesi senza cure. Le persone sono private di beni primari come cibo, acqua e medicine mentre le forze israeliane continuano a bombardare la Striscia di Gaza, rischiando di causare un alto numero di complicazioni sanitarie e di morti. Dal 2 marzo le autorità israeliane hanno imposto un assedio totale. Manca l’elettricità, non entrano aiuti umanitari, le cliniche di base sono costrette a curare le ferite dei pazienti senza antidolorifici. «Le autorità israeliane hanno condannato la popolazione di Gaza a sofferenze insopportabili con questo loro assedio letale» ha affermato Myriam Laaroussi, coordinatrice delle emergenze di Msf a Gaza. E ancora:


«Questa violenza deliberata inflitta ai danni delle persone è come una morte lenta, deve finire immediatamente».
Conquiste sotto le bombe
In un comunicato, Israele Katz, ministro della difesa israeliano, ha dichiarato che gli attacchi sono soltanto il proseguimento di un’operazione militare che ha come obiettivo quello di conquistare vaste aree da incorporare nelle zone di sicurezza israeliane e «distruggere e liberare l’area dai terroristi e dalla infrastrutture terroristiche». Mentre in un video Benyamin Netanyahu ha aggiunto: «Stiamo dividendo la Striscia di Gaza e aumentando gradualmente la pressione affinché ci restituiscano gli ostaggi».
La voce delle famiglie
Le parole del premier israeliano però si scontrano ora con le stesse famiglie delle vittime, che continuano a chiedersi se gli ostaggi siano stati sacrificati soltanto per ottenere conquiste territoriali. «Invece di garantire il rilascio degli ostaggi attraverso un accordo e porre fine alla guerra, il governo israeliano sta inviando più soldati a Gaza per combattere nelle stesse aree in cui le battaglie hanno già avuto luogo ripetutamente – si legge in una nota dell’Hostages and Missing Families Forum – le famiglie sono rimaste inorridite quando si sono svegliate con l’annuncio del ministro della Difesa secondo cui l’operazione militare a Gaza sarebbe stata estesa allo scopo di “conquistare un vasto territorio”».
E hanno aggiunto: «La responsabilità della liberazione dei 59 ostaggi tenuti da Hamas ricade sul governo israeliano. La nostra grave preoccupazione è che questa missione sia stata relegata in fondo alle sue priorità e sia diventata semplicemente un obiettivo secondario».
Impunità politica
Per Netanyahu, su cui pende un mandato di arresto della Corte penale internazionale per crimini di guerra (lo stesso mandato rivolto a Putin), non sembrano esserci più ostacoli sue scelte politiche e di guerra. Bibi è tornato infatti in Europa e nonostante i paventati scontri diplomatici ha trovato il sostegno del primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, del cancelliere tedesco Friedrich Merz, del presidente francese Emmanuel Macron, del ministro Antonio Tajani e soprattutto del premier ungherese Viktor Orbán. Proprio Orbán ha annunciato di non procedere all’arresto di Netanyahu, affermando che l’Ungheria è «il Paese più sicuro d’Europa per gli ebrei» e che la decisione della Corte è il tentativo di intervenire in un conflitto in corso per un preciso scopo politico.


Divisa nella pace, unita nel genocidio
L’Europa così divisa per le politiche di pace, ora sembra essere unita dalla difesa dei genocidi, dal riarmo, dalle azioni di Orbán su Gaza.
Accettando la visione secondo cui la sovranità degli Stati debba prevalere, anche con la forza, sul diritto internazionale.