Una rete di eccellenza sostenibile. Intervista a Roberto Crestan di Emergency

Roberto Crestan, direttore del African Network of Medical Excellence

Una rete di eccellenza sostenibile. Intervista a Roberto Crestan di Emergency

L’African Network of Medical Excellence è un progetto della ong di Gino Strada per soddisfare con interventi di alto livello le esigenze ospedaliere dell’Africa. Il secondo hub della rete, l’ospedale di chirurgia pediatrica in Uganda, realizzato da Renzo Piano, è una struttura green in cui s’incontrano diritto alla cura, bellezza e grande professionalità

Riparte anche quest’anno il Natale solidale di Emergency: fino al 24 dicembre, presso i punti vendita in 19 città italiane e online, è possibile scegliere tra le tante proposte a sostegno delle iniziative della Ong che dal 1994 difende il diritto alla cura in tutto il mondo. Più di 70 idee regalo con il celebre logo ma anche prodotti provenienti dal mercato equo solidale, artigianato dal mondo, dolci, cioccolata e infusi biologici.

A supporto di progetti “scandalosamente” belli, sostenibili e giusti.

Come l’ospedale di chirurgia pediatrica di Entebbe in Uganda: progettato dall’architetto Renzo Piano e inaugurato nel 2021, il centro offre cure chirurgiche pediatriche completamente gratuite in uno tra i paesi a più alto tasso di mortalità infantile del continente africano. Una struttura dal cuore green che rappresenta il secondo hub di ANMEAfrican Network of Medical Excellence, progetto per la creazione di una rete di cure d’eccellenza in tutta l’Africa. Abbiamo raggiunto Roberto Crestan, Direttore di ANME, per farci raccontare il progetto che promuove diritti, uguaglianza e sostenibilità.

 

I piccoli pazienti in uno degli spazi del centro di chirurgia pediatrica di Entebbe (Foto: Davide Preti)

 

Come nasce l’idea di una rete sanitaria di eccellenza in Africa?

ANME nasce con l’apertura a Khartoum, in Sudan, nel 2007, del centro Emergency di cardiochirurgia “Salam”. “Salam” rappresenta il primo nodo di una rete di cure di eccellenza, destinata a soddisfare le esigenze ospedaliere dell’intero continente africano, coprendo una specializzazione alla volta. Nel 2008, Emergency ha proposto il modello ai delegati alla sanità di 8 paesi africani, durante un seminario tenutosi sull’isola di San Servolo, a Venezia.

Lì, a 60 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sono stati fissati i principi cardine del Manifesto per una medicina basata sui diritti umani, che avrebbero definito gli orizzonti dell’iniziativa negli anni a venire.

Nel 2021 abbiamo inaugurato il secondo centro, quello di Entebbe, in Uganda, dedicato alla chirurgia pediatrica. I due ospedali sono collegati da un progetto regionale: attraverso decine di missioni di screening ogni anno, individuiamo chi necessita di interventi specifici e lo accogliamo nelle nostre strutture. Oltre a fornire cure completamente gratuite, sosteniamo anche le spese di viaggio e, attraverso programmi di follow up, i pazienti continuano a essere seguiti anche dopo la dimissione e finché è necessario.

Per Emergency, la sostenibilità non può essere disgiunta da parole quali dignità, consapevolezza, partecipazione e responsabilità. Quali sono i principi alla base del progetto ANME e del Manifesto per una medicina basata sui diritti umani?

Uguaglianza, qualità e responsabilità sociale. Ogni essere umano ha il diritto di essere curato, con le migliori cure possibili e a prescindere dalla sua condizione economica o sociale, senza discriminazioni. Da ciò deriva anche il principio di gratuità, perché dove la sanità è a pagamento e l’accesso alle cure è subordinato alla disponibilità economica, come può esservi uguaglianza? I sistemi sanitari, inoltre, devono basarsi sui bisogni dei pazienti e risultare in linea con i progressi della scienza medica; non devono, dunque, essere guidati dagli interessi delle aziende. Infine, la responsabilità sociale: il raggiungimento di standard elevati di salute e di benessere come priorità per i governi, i quali devono impegnarsi a destinare le risorse necessarie a questo scopo. Per questo, come Emergency, cerchiamo sempre di coinvolgere i ministeri della salute locali. Nel caso di ANME, è un processo di health diplomacy che riunisce i rappresentanti dei paesi attorno a un tavolo, per discutere insieme sul futuro della salute in Africa, scegliendo come distribuire le specializzazioni, dove aprire i futuri ospedali, ascoltando richieste e necessità. Si decide come ripartire forze ed energie. Costruire un ospedale è il primo passo, è poi fondamentale che funzioni, che sia sostenibile nel tempo. Lavorare insieme è un elemento chiave per la sostenibilità e per il futuro passaggio di consegne ai paesi stessi.

Come vede il futuro di ANME?

Abbiamo dimostrato che questi principi non sono un’utopia. Su questo Gino Strada ha sempre insistito. In uno dei primi incontri dedicati al progetto, emerse come tra le istituzioni ugandesi fosse già presente da almeno dieci anni il desiderio di costruire una struttura come quella che Emergency aveva realizzato in Sudan, un’impresa che non sembrava possibile.

Emergency aveva dimostrato di saperlo fare e, cosa ancora più importante, di saperlo far funzionare. Questo ha generato piena fiducia nel modello.

Il centro cardiochirurgico di Khartoum ha dimostrato che una medicina di eccellenza in Africa può essere creata e sostenuta, sino a divenire punto di riferimento per tutta la regione, tanto che l’anno scorso abbiamo festeggiato i 10.000 interventi a cuore aperto. Con il centro di chirurgia pediatrica di Entebbe, abbiamo dimostrato che il successo può essere anche replicato. L’accordo, che inizialmente coinvolgeva 8 paesi africani, ne conta oggi 15 e si parla già del terzo ospedale.

Parlando di sviluppo sostenibile, quale ruolo ricoprono le attività di formazione delle risorse umane locali?

In Africa esistono strutture di qualità costrette a sbarrare gli accessi in terapia intensiva a causa di mancanza di personale adeguatamente formato. Ma anche il fenomeno della fuga dei cervelli è diffuso: i medici che si laureano in università locali finiscono per spostarsi in Europa o negli Stati Uniti, dove possono accedere a formazione avanzata e carriere all’interno di strutture dotate della strumentazione necessaria a svolgere al meglio il proprio lavoro, pulite e con la giusta attenzione al paziente. Trattenere questi talenti è una condizione necessaria ed essenziale per il miglioramento dei sistemi sanitari, per poter fare la differenza.

Non si può parlare di formazione senza un luogo adatto dove farla. Né si può limitare l’educazione sul campo a poche settimane, senza preoccuparsi del contesto in cui le risorse si troveranno a operare.

Gli ospedali di Emergency permettono a questi medici di rimanere nel proprio paese: il centro “Salam” è stato riconosciuto come ente formatore per le scuole di specialità di cardiologia, anestesia, chirurgia e pediatria, mentre a Entebbe i chirurghi possono guadagnare crediti formativi ECM. Nel 2024, entreremo inoltre a far parte del COSECSA, l’istituto regionale di formazione dell’East Africa nell’ambito della chirurgia. Curare e formare sono i mandati fondamentali dei nostri ospedali.

È celebre la richiesta che Gino Strada rivolse a Renzo Piano, commissionando la realizzazione del centro di Entebbe, di un ospedale eccellente sotto ogni punto di vista e “scandalosamente bello”, in opposizione alla logica, diffusa anche nel contesto umanitario, del “meglio che niente”. Entebbe, oltre che “scandalosamente bello” è anche “scandalosamente sostenibile” …

È l’approccio che guida ogni nostro progetto: la volontà di fare sempre meglio. In Uganda abbiamo messo in atto tutti gli sforzi possibili per ridurre il consumo di combustibili fossili e ricorrere a energie alternative. Abbiamo ottimizzato ogni tecnologia per abbattere ed evitare gli sprechi. I muri, realizzati in terra cruda con l’antica tecnica del pisé e spessi 60 centimetri, mettono naturalmente in atto l’inerzia termica. L’ospedale è protetto da un canopy, un controtetto che lo ripara dall’irraggiamento solare e riduce il calore dell’equatore. Su di esso sono installati 2500 pannelli fotovoltaici che consentono di diminuire il consumo di energia elettrica dalla linea cittadina, coprendo per ora il 30% del nostro fabbisogno, una quota che miriamo ad aumentare. Per questo stiamo pensando di ampliare ulteriormente la superficie fotovoltaica attraverso l’installazione di un campo a terra.

 

Il centro di chirurgia pediatrica di Entebbe

 

Quanto è importante l’autosufficienza in contesti dove l’instabilità politica, i conflitti o le epidemie possono tagliare fuori le strutture sanitarie da approvvigionamenti e rifornimenti?

I nostri ospedali sono come una nave: ciò che hai portato con te, è ciò che ti deve bastare. L’autonomia è fondamentale. Dobbiamo innanzitutto renderci indipendenti dalla fornitura d’acqua: per questo, di volta in volta, costruiamo i nostri pozzi. Ricaviamo acqua calda dai collettori solari. E, per renderci autosufficienti in caso di blackout, curiamo l’indipendenza elettrica attraverso gruppi di continuità e generatori che ne garantiscono l’efficienza. Tutto è pensato per essere riparato, sostituito o bypassato direttamente dai tecnici già presenti sul posto. In Afghanistan, abbiamo scelto di partire con impianti base, ad esempio utilizzando le bombole d’ossigeno invece di affidarci a un impianto di distribuzione dei gas medicali, poiché mancavano le risorse necessarie a livello regionale. Con il tempo, le competenze si sono presentate e i nostri ospedali si sono forniti di impianti centralizzati per la distribuzione dei gas. Modulare il livello tecnologico dell’ospedale in base alle risorse disponibili è una misura di sostenibilità. Oggi a Entebbe recuperiamo l’acqua piovana e la utilizziamo per i lavaggi esterni e l’irrigazione. Un miglioramento futuro potrebbe riguardare l’aumento della risorsa di acqua potabile attraverso sistemi di filtrazione più avanzati, non appena si presenteranno tecnologie maggiormente accessibili.

A Entebbe diritto alla cura, eccellenza e bellezza si incontrano, secondo i principi della “healing architecture”, l’architettura che guarisce. Come in tutti gli ospedali Emergency, è presente anche un grande giardino, con oltre 350 alberi di jacaranda. In che modo la natura si inserisce nel concetto di cura?

L’attenzione al paziente si esprime anche nel creare luoghi di cura che siano accoglienti e belli. In Africa, affrontare una malattia significa diventare un peso per la propria famiglia, che deve sostenere tutte le spese. Fuori dagli ospedali si creano spesso piccoli accampamenti dove i parenti cucinano per il paziente, lavano le lenzuola… È un processo che coinvolge numerosi familiari, i quali offrono direttamente supporto a chi vive la malattia o si occupano di trovare i fondi necessari all’acquisto di medicine e al pagamento degli interventi.

 

I 2500 pannelli fotovoltaici sul tetto dell’ospedale(Foto: Emmanuel Museruka)

 

Perciò, quando le persone arrivano nei nostri ospedali e capiscono che non devono pagare nulla, rimangono stupite. E il punto di vista del paziente si modifica: dal sentirsi un peso all’essere sollevato da queste preoccupazioni, uno stato d’animo che gli consente di concentrarsi sulla guarigione. I giardini dei nostri centri sono aree “protette”: si passa da spazi dove non esiste alcuna attenzione nei confronti dell’essere umano a luoghi in cui, nel giorno di visita, le famiglie si riuniscono intorno ai pazienti, si chiacchiera, ci si ritrova. Uno spazio naturale in cui l’essere umano è davvero importante, dove non viene richiesto nulla in cambio di questa serenità. Il paziente si sente messo al centro, come persona.

Gino Strada disse che quando un essere umano soffre soffriamo tutti, ed è importante impegnarsi per porre fine alla sofferenza. C’è un ricordo al quale è particolarmente legato?

Ho iniziato a lavorare con Gino Strada nel 2005, come responsabile della costruzione dell’ospedale a Khartoum. Arrivavo dal mondo italiano delle imprese di costruzioni, un contesto commerciale e profit. Conoscevo anche molto bene le difficoltà legate a certi tipi di progetti: l’idea di Emergency mi sembrò subito ambiziosa. Un centro di cardiochirurgia con sale operatorie a 18 gradi, aria pulita con filtri assoluti, il tutto in un luogo dove le temperature possono sfiorare i 55 gradi e tempeste di sabbia periodicamente oscurano il cielo… quantomeno sfidante! Quando chiesi a Gino: “qual è la tua visione di questo ospedale?”, lui rispose: “fallo come se dovesse ospitare un tuo parente o te stesso”. Questo è ciò che guida ogni nostra scelta. Non fare una cosa “tanto per fare”, falla come se dovessi starci dentro tu. Le risposte le trovi tutte lì.

Voi siete in prima linea, ogni giorno. Chi di noi non opera sul territorio, oltre a supportare le iniziative di Emergency, in che modo può fare la differenza?

Parlando dei nostri progetti, condividendone i messaggi. Scegliendo di informarsi, di parlare di pace, ponendo l’attenzione sulle guerre dimenticate, come quella attualmente in corso in Sudan, che sta distruggendo un paese e che nessuno sembra voler guardare. Mantenendo alta l’attenzione su chi cura senza chiedere nulla in cambio, perché ammalarsi non è una scelta, capita.

 

Saperenetwork è...

Anna Stella Dolcetti
Anna Stella Dolcetti
Anna Stella Dolcetti, laureata in lingue e culture orientali presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito un master in International Management alla Luiss Business School, si è specializzata in Marketing all’Istituto Europeo di Design e in Green Marketing all’Imperial College di Londra. È vincitrice e finalista di competizioni dedicate alle nuove tecnologie (Big Data e Blockchain) e lavora nella comunicazione per aziende ad alto tasso di innovazione. È diplomata in "sommellerie" e appassionata di alimentazione naturale. Nel tempo libero passeggia nei boschi, scala montagne e legge avidamente di biologia, astronomia, fisica e filosofia. Crede fermamente nella sinergia tra metodo scientifico e cultura umanistica e nell’utilizzo delle nuove tecnologie al servizio di etica, rispetto e sostenibilità sociale e ambientale.

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