Ripensare la nostra maniera di produrre e consumare per vivere di nuovo in armonia con la natura. Sono i temi intorno ai quali ruota il nostro terzo appuntamento alla scoperta delle voci più significative nel campo dell’economia sostenibile. Una carrellata che ci porta al cospetto di modelli alternativi che pongono al centro il benessere delle comunità, mettendo in discussione l’idea della crescita infinita e anticipando molti concetti, come l’approccio circolare, la gestione responsabile delle risorse e l’impronta ecologica, oggi al centro del dibattito.
1. KARL-GÖRAN MÄLER (Svezia, 1939 – 2020)
L’economista svedese Karl-Göran Mäler è stato tra i fondatori dell’economia ambientale europea. Nato in un piccolo paese nel nord della Svezia nel 1939, dopo la laurea all’università di Stoccolma trascorre un periodo di ricerca presso il Massachusetts Institute of Technology e Stanford. Rientrato in patria, a soli 36 anni, diviene docente alla Stockholm School of Economics, dove svilupperà la sua carriera e affinerà il suo pensiero, basato su modelli non lineari e sul riconoscimento delle interconnessioni tra ecologia ed economia. In collaborazione con Dasgupta contribuirà all’elaborazione della teoria del capitale naturale.


E riconoscerà alla natura un ruolo essenziale per il benessere delle comunità e la prosperità economica.
Peculiarità europea
Il suo testo Environmental Economics: A Theoretical Inquiry, del 1971, è un classico dell’economia ambientale, ancora oggi tappa imprescindibile per chiunque si avvicini alla materia. Le sue ricerche, grazie alla complementarità tra rilevanza del contesto locale e innovatività, si sono poste nella giusta posizione per stimolare lo sviluppo di visioni sostenibili in Europa, in particolare adattando i modelli statunitensi alle peculiarità del tessuto economico europeo, con un’influenza che continua nel tempo ed è ormai integrata nel pensiero economico del vecchio continente.
Cosa lascia
L’importanza del contributo di Mäler, infine, va oltre la ricerca, grazie all’impulso che egli ha saputo trasmettere al dibattito e allo scambio di prospettive: con la fondazione della European Association of Environmental and Resource Economics, l’economista svedese ha promosso la creazione di fondamentali spazi di incontro, discussione e cooperazione tra gli economisti ambientali europei. È stato inoltre direttore del Beijer Institute, il centro di ricerca sull’economia ecologica della Royal Swedish Academy of Sciences.
2. WILLIAM E. REES (CANADA, 1943)
William E. Rees, insieme all’allora studente di dottorato Mathis Wackernagel, è considerato il padre di uno dei concetti più importanti nell’ambito dell’economia verde: quello di “impronta ecologica” (in inglese “ecological footprint”), fondamentale per confrontare la domanda di risorse naturali con la capacità del pianeta di fornire e rigenerare le risorse stesse. è stato Direttore della School of Community and Regional Planning della University of British Columbia, tra i più importanti istituti di formazione canadesi specializzato in pianificazione urbana sostenibile, inclusiva e giusta.


E la sua specializzazione è quella in ecologia umana ed ecologica.
L’enigma dell’inazione
I suoi studi hanno messo in luce l’irrazionalità di molti piani di crescita, sottolineando come logica e visione abbiano spesso poco spazio all’interno dei dibattiti sulla sostenibilità. E come molte decisioni pertinenti lo sviluppo delle nostre economie si basino invece su logiche irrazionali e a breve termine, dimenticando le priorità più urgenti, come la risposta ai cambiamenti climatici: un vero e proprio “enigma dell’inazione”.
Il comportamento economico, spesso ritenuto razionale, diventa sempre più caotico, distruttivo e disadattivo. Più che pessimista, però, Rees ama definirsi realista, poiché è impossibile risolvere i problemi senza riconoscerli e dar loro un nome. L’inadeguatezza delle misure attuali, incapaci di mettere a terra una quota sufficiente di ambizione, visione complessa delle interazioni tra ambiente e comunità e concretezza, richiede innanzitutto di riconoscere questa irrazionalità.
Futuro rinnovabile
Il piano per il futuro, secondo Rees, dovrà contenere programmi strutturati di assistenza, porre la transizione energetica verso fonti pulite come una priorità assoluta, affrontare con misure coraggiose l’esaurimento delle risorse naturali, identificare e attuare strategie per ridurre i consumi e gli sprechi, supportando la creazione di nuovi modelli di lavoro, redistribuzione della ricchezza, fino a una contrazione deliberata dell’economia. Tutti elementi che accomunano il pensiero di Rees a quello di molti teorici della decrescita.
3. SUNITA NARAIN (India, 1961)
Sebbene conosciuta soprattutto per il suo impegno come attivista contro la povertà e ambientalista, Sunita Narain ha offerto negli anni un contributo sostanziale agli studi economici sullo sviluppo sostenibile. È direttrice del Centre for Science and Environment (Cse) di Nuova Delhi, uno dei più importanti think tank asiatici dedicati alle tematiche ambientali, con il quale collabora da oltre quarant’anni. Sotto la sua guida, il centro ha condotto inchieste fondamentali sul ruolo delle multinazionali nell’inquinamento da pesticidi e da rifiuti plastici nel Paese.


Ha sviluppato inoltre ricerche di rilievo su economia sostenibile e gestione responsabile delle risorse naturali.
Clima e disuguaglianza
Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, Sunita Narain è stata co-autrice, insieme all’ingegnere e giornalista ambientale Anil Agarwal, di due testi fondamentali negli studi sullo sviluppo. Global Warming in an Unequal World è stato il primo studio al mondo a porre l’accento sugli impatti del riscaldamento climatico sulle comunità più fragili e dunque a sollevare il tema dell’ingiustizia climatica. Towards Green Villages è invece una lucida proposta di macro-strategie per lo sviluppo rurale sostenibile in India, basata sull’integrazione di modelli di giustizia sociale e gestione saggia delle risorse naturali, decentrati e autosufficienti, che mirino all’empowerment delle comunità.
Un testo che presenta la sostenibilità non come un lusso ma come un diritto, rivoluzionario nel trattare il tema delle comunità rurali, spesso dimenticate nei discorsi sullo sviluppo.
Governance ambientale
Fra i temi trattati nei suoi studi successivi, troviamo l’inquinamento e il suo impatto sulle economie delle città, la governance delle risorse ambientali e l’importanza degli ideali democratici nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Attivista per la giustizia ambientale e climatica, nel 2016 Nairan è stata inserita nella lista delle cento persone più influenti al mondo, stilata ogni anno dal Times.
4. MANFRED MAX-NEEF (Cile, 1932-2019)
L’economista cileno Manfred Max-Neef , formatosi a Berkley, in California, è stato il primo economista a proporre un modello alternativo alla teoria dei bisogni di Maslow, legandolo alla sostenibilità come mezzo per raggiungere il benessere, secondo un modello economico che “serva” il benessere delle comunità, senza basarsi sul loro sfruttamento. Criticando il concetto di crescita infinita, Max-Neef elabora un modello basato su bisogni umani universali, i quali agiscono all’interno di sistemi ecologici, interconnessi e che non possono essere, perciò, soddisfatti dai consumi o dall’accumulo di risorse.


Al contrario, sono soddisfatti dal ricorso a relazioni significative, connessioni profonde e solidarietà.
Circoli virtuosi
Gli approcci sinergici sono alla base di questo modello, che rifiuta il concetto secondo il quale i meccanismi che soddisfano i bisogni essenziali siano autorizzati a generare danni collaterali, come la distruzione dell’ambiente. Occorre puntare, invece, alla ricerca di elementi che diano origine a circoli virtuosi. La scala dello sviluppo, dunque, dev’essere centrata sul benessere; un’economia “a piedi scalzi”, ovvero con un ritorno alla terra e ai valori di rispetto della vita e di connessione con la natura, senza oltrepassare il limite oltre il quale la crescita diviene distruzione.
5. SERGE LATOUCHE (Francia, 1940)
Chiudiamo la rassegna con colui che è probabilmente il più famoso e conosciuto teorico contemporaneo della decrescita, Serge Latouche. Economista e docente all’Università di Parigi, Latouche è erede del pensiero di molte figure di spicco che abbiamo avuto modo di presentare in questa rubrica e in particolare di Manfred Max-Neef, Nicholas Georgescu-Roegen e E.F. Schumacher ma anche del filosofo e fondatore dell’ecologia politicaAndré Gorz. Così Latouche elabora un pensiero trasversale che, partendo dalla critica al colonialismo e ai modelli capitalistici, rifiuta il concetto di crescita infinita.


Ma anche quello di sviluppo sostenibile, che reputa una contraddizione in termini.
La decrescita come evoluzione
L’intrinseca finitezza delle risorse del pianeta e l’impossibilità per lo stesso di assorbire i rifiuti prodotti dalle comunità umane non consente più, infatti, alcun margine di incremento per produzione e consumi. La decrescita, tuttavia, non è intesa come un ritorno a modelli economici primitivi, bensì come un’evoluzione radicale, una svolta felice che abbracci modelli economici nuovi (eppure “antichi”, in quanto spesso basati su pratiche tradizionali), valori e comportamenti sociali virtuosi, un’“utopia concreta” atta a ridisegnare il modo in cui concepiamo il lavoro, il rapporto con l’ambiente e le relazioni.
Otto passi contro le disuguaglianze
Il modello capitalista, tuttavia, è così radicato nelle nostre società da aver “colonizzato l’immaginario”, richiedendo perciò nuovi sforzi culturali per attuare una liberazione dai bisogni immaginari. Attraverso otto passi (rivalutazione e riconcettualizzazione dei valori, adattamento dei modelli, promozione di economie locali basate su responsabilità e autosufficienza, redistribuzione delle ricchezze, diminuzione dell’utilizzo di risorse ed energia, riutilizzo e riciclo di materiali) si può arrivare eliminare le diseguaglianze, scommettendo sulla felicità non materiale, per costruire un mondo nuovo.