Kangerlussuaq: un nome impossibile al primo approccio, indimenticabile dopo che sei atterrato e ci hai vissuto intorno. Kangerlussuaq allora era l’unico aeroporto dove si poteva atterrare in Groenlandia, l’isola più grande del mondo. E l’unico punto di partenza, 1994, era Copenaghen. Kangerlussuaq: una base militare divisa a metà con un albergo molto grande ma non altrettanto confortevole. Praticamente ci si entrava dentro dopo il controllo passaporti.
Fuori, inizio ottobre, le lepri variabili cominciavano a diventare bianche, ma a macchie, anche se a terra non c’era ancora neve.
Nella terra degli Inuit
Ero arrivato nella terra degli Inuit (chiamarli eschimesi a loro non è mai piaciuto) per un aggiornamento professionale che la casa editrice Mondadori elargiva ai giornalisti con più di cinque anni di anzianità aziendale. Aggiornamento, ero redattore di Panorama, per me alla ricerca di dati, cifre, fatti e constatazioni dal vivo del problema cambiamenti climatici e scioglimento dei ghiacci. Seguivo i lavori dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) dell’Onu e quelli del Giss (Goddard Institute for Space studies) della Nasa dall’inizio delle loro ricerche e non ci sarebbe stato allora un luogo più perfetto della Groenlandia per toccare con mano i risultati del riscaldamento globale. Una realtà che oggi sempre più capi di Stato e di governo del Pianeta negano con altezzoso sproloquio, cioè senza fornire mai neppure un dato in alternativa a quelli di migliaia di climatologi collegati fra loro.


Da solo con la valigia
Bene. Eccomi nella “Terra Verde“, così era stata battezzata al tempo dei Vichinghi, da solo con una valigia, una telecamera professionale, un pesante cavalletto e una canna da pesca. Avevo appuntamenti sia a Kangerlussuaq, che a Nuuk, la capitale, che a Ilulissat, la cittadina famosa per avere al suo fianco sinistro il più grande ghiacciaio del mondo, il Kangia, 250 chilometri di lunghezza e un fronte sul mare, la bocca, di un chilometro e mezzo.
Primo incontro: i buoi muschiati
Primo impatto: i buoi muschiati, in realtà grandi pecore dalle corna ritorte come fossero mufloni, ricoperti da un mantello di pelliccia fittissimo e cascante. Mi accompagnò un ricercatore americano in un paesaggio ancora verde, senza alberi, ricchissimo di licheni con grandi ruscelli che scendevano dalle montagne. La Groenlandia ha vette rocciose che superano i tremila metri e grandi distese prive di ghiacci ma con una calotta polare spessa oltre tre chilometri che stringe l’interno in una morsa che già allora si andava crepando in più punti.
Secondo incontro: le volpi polari
A Nuuk l’appuntamento era fissato con una équipe di esploratori polari che facevano capo a Peter Wadhams, forse il massimo esperto di Artico al mondo autore di Addio ai Ghiacci (edito anche in Italia nel 2017, Bollati Boringhieri). I dati in loro possesso erano inequivocabili: in 10 anni il 18 per cento dei ghiacciai erano svaniti nel nulla. La baia di Disko, un enorme bacino interno appena sul bordo del circolo polare artico, si sgelava anche in periodi invernali. Notare bene: oggi 2025 si parla di un 40 per cento di ghiacci scomparso. Secondo incontro: volpi polari. Anche loro macchiate di bianco, più piccole delle volpi rosse nostrane, all’epoca cacciate senza tregua d’inverno per accaparrarsi la pelliccia assolutamente candida e morbidissima.
Il dente del narvalo
A Ilulissat l’appuntamento era con un tour operator italiano, ex cantante rock, che si faceva chiamare Silver. Era capitato per un concerto, si era innamorato di una Inuit e del suo paese, quello che oggi si chiama Kalaallit Nunaat. Con lui attraversai per ore un tratto di mare disseminato di iceberg di ogni grandezza e forma per arrivare all’Isola del Principe Ereditario. Fu sulla riva sassosa di questo contrafforte di roccia rossastra e levigatissima che trovai il dente di un narvalo, forse il mammifero marino più difficile da descrivere per quella sua “spada ritorta” con cui combatte per la conquista della femmina. Il dente lo dovetti lasciare sulla spiaggia perché pesante e intrasportabile. Ma un Inuit di nome Inuk Nuak mi regalò un minuscolo frammento d’osso da lui inciso.


Cani felici di correre
Non ho ancora parlato dei cani da slitta. Sono ovunque e per tutto il periodo in cui non c’è neve sono tenuti legati a catena, gruppo per gruppo, e nutriti con pesce secco o congelato. Solo a Ilulissat sono cinquemila a fronte di una popolazione di 4.500 e passa anime. Ma quando inizia il periodo perfetto impazziscono di felicità per trainare qualsiasi cosa e correre lungo piste tracciate che portano da un villaggio all’altro per centinaia di chilometri.
L’iceberg che affondò il Titanic
A Ilulissat andai a vedere il Kangia, l’enorme mare di ghiaccio. È una passeggiata entusiasmante perché un sentiero lo costeggia dall’alto fino ad arrivare in cima a una collina da dove si domina uno strepitoso paesaggio, accecante quando il sole sta per tramontare. Mi raccontarono allora che fu proprio dal Kangia che si staccò l’iceberg che affondò il Titanic. Vero o falso che sia la storia, sta di fatto che quando fu proiettato il film di James Cameron del 1997 con Leonardo DiCaprio e Kate Winslet (tutto il villaggio di Ilulissat era stipato nella piazza principale) al momento dell’impatto con il transatlantico ci fu un applauso fragoroso dei pescatori e di tutte le famiglie. La pesca infatti, fino ad ora, è la risorsa più importante, insieme a un turismo in crescita, dei groenlandesi. Le specie di maggior interesse sono il merluzzo ma soprattutto l’halibut, quello che noi chiamiamo ippoglosso, una specie di enorme sogliola che può raggiungere anche duecento chili.
Fiori d’estate
Il primo viaggio finì senza che avessi potuto vedere l’orso polare. Presente nelle zone più interne e più a nord quasi a toccare il Polo. Insieme a questo plantigrado che rischia oggi l’estinzione è possibile vedere cinque specie di balene e le foche che gli Inuit hanno il permesso di cacciare con un numero controllato di quote. Ci fu un secondo viaggio estivo: un panorama completamente diverso per la varietà esplosiva di fiori coloratissimi: azalee e salici nani, una strepitosa varietà di funghi e di coloratissimi licheni. Ma di contro una massa sterminata di zanzare da rischiare lo shock anafilattico.
Poi la combinazione volle che riuscii a concludere con un documentario questa mia esperienza. Mi aiutarono in questa impresa il regista Antonio Morabito e il naturalista e operatore Giuseppe Di Lieto. Il documentario di 45 minuti fu inserito come “Speciale” nel programma Stella del sud di RaiUno: “L’isola del raggio verde” andò in onda nell’estate del 2007.
Le voglie di Donald
Apro ora un capitolo che riguarda l’attualità più stretta dopo le dichiarazioni del neo-presidente degli Usa, Donald Trump, che ha detto chiaramente di volere la Groenlandia, pagandola forse con i Bitcoin, annettendola come fu per l’Alaska, comprata dagli Zar russi per pochi dollari. Attenzione allora. Pochi ricordano, forse nessuno lo ha ancora fatto, che la voglia di Groenlandia gli Stati Uniti d’America ce l’hanno nel sangue. È sin dal 1937 che hanno cercato di accaparrarsela.
Provarono a comprarsela anche nel 1946. E, udite udite, anche Donald Trump nel 2019 la richiese durante il suo primo mandato.
Guarda un estratto del documentario di Fabrizio Carbone e Antonio Morabito