I Baustelle, band italiana di pop rock, in una foto del 2017
I Baustelle in una foto del 2017 (Foto:Wikipedia)

Baustelle, cronisti eco visionari della musica italiana

Con l'inconfondibile stile melodico, lucido e spudorato, la band di Montepulciano racconta da sempre il lato scomodo della realtà. In particolare, l'album Fantasma, tra richiami cinematografici, letterari e sonori, affronta anche la crisi ambientale. Con uno struggente omaggio a Giorgio Caproni
28 Maggio, 2024
2 minuti di lettura

I Baustelle hanno dimostrato, in questi anni, di saper raccontare la contemporaneità meglio di chiunque altro, grazie ad una serie di album in grado di diventare altrettanti strumenti di conoscenza e di analisi della realtà. Il loro si potrebbe definire un approccio da “cronisti visionari”, capaci di lanciare sguardi spudorati sul destino dell’Occidente.

Francesco Bianconi e compagni hanno affrontato spesso argomenti scomodi nelle loro canzoni ma lo hanno fatto attraverso il filtro di una melodicità ben scandita sebbene minata, se così possiamo dire, dall’innesto di alcuni elementi “devianti”.

Basti pensare a certe soluzioni adottate a livello compositivo e d’arrangiamento (una coda strumentale del tutto inaspettata, una sottigliezza timbrica, un’improvvisazione al pianoforte) o ai testi poco “leggeri”, nei quali da sempre si mescolano profondità psicologica e slancio romantico, liricità e colloquialità, scelte lessicali raramente banali, uso “anatomico” delle parole e tentativi di sfamiliarizzare il familiare.

Sfamiliarizzando il familiare

Una musica, quella dei Baustelle, dotata di una particolare forza stilistica, benché percorsa da un fitto gioco di richiami letterari, cinematografici e sonori, come dimostra il disco di cui vi vogliamo parlare, Fantasma, che contiene, tra l’altro, anche dei chiari riferimenti alla grave crisi ambientale. Un concept album – organizzato come un film, con tanto di titoli di testa e di coda – che, per riprendere le parole di Bianconi, «voleva raccontare del tempo che ci sfugge continuamente dalle mani, dell’assenza di speranza nel futuro e di come a condizionare ogni singola nostra azione ci sia la paura della morte».

 

Guarda il video di “Radioattività” dei Baustelle

Fantasma, i Baustelle oltre i cliché

In Fantasma, i Baustelle rivolgevano l’orecchio a certe esperienze sonore del Novecento (a quelle, più consuete per loro, del cinema di genere italiano ma anche a quelle della musica “seria”), sfuggendo spesso al cliché del disco sinfonico e al pericolo di cadere nel manierismo (leggi retorica), attraverso il controllo delle dinamiche tecnico-espressive e l’utilizzo consapevole di determinati ingredienti – dissonanze, rumorismi, atonalità e così via.

Ciò che ne scaturiva era un’inestricabile osmosi tra cultura “alta” e cultura “bassa”: da una parte, l’uso di stilemi della musica “eurocolta”; dall’altra, le colonne sonore e l’istinto melodico.

Melodia che qui diventava, a volte, meno marcatamente cantabile. Era come se i Baustelle avessero finalmente acquisito – in quel 2013, anno di uscita del disco – una totale fiducia in chi li ascoltava, rinunciando in parte alla dimensione più “appagante” della loro musica: lo testimoniavano appunto il tratto melodico-armonico, la minore presenza di ritornelli catchy, gli arrangiamenti orchestrali che si allontanavano dal recinto del pop-rock.

 

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Tra ricerca timbrica e sensibilità ambientale

Restavano, come marchio di fabbrica del gruppo, lo zelo citazionista, la ricerca timbrica (vista come fattore e segno, uno dei tanti, di una cura per il dettaglio e per quanto dai dettagli promana) e la grande attenzione ai testi, dai quali, come dicevamo, traspariva una certa sensibilità ambientale  [«Il futuro cementifica / La vita possibile / Qui la vista era incredibile / Da oggi è probabile / Che ciò che siamo stati non saremo più» (Il Futuro); «Bisogna avere fede / Navigare nello spazio siderale / Presupporre l’aldilà / Che siamo troppo avvezzi a stare male / A proteggerci dal sole / Dalla radioattività» (Radioattività)]. Tanto che la band di Montepulciano arrivava a citare Giorgio Caproni e la sua Versicoli quasi ecologici (1991), una poesia da cui emergeva l’atteggiamento aggressivo e predatorio dell’uomo nei confronti della natura.

L’omaggio più vistoso al poeta livornese, alla fine, era contenuto nella canzone L’Estinzione Della Razza Umana: «Cavalieri del lavoro simili a Gesù / Non votiamo gli uomini, non li votiamo più / Tornerà la terra / Follemente bella / Dopo l’estinzione della razza umana».

 

 

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