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Pillole ecologia estrema, cover grafica

Green deal, la vera ideologia è fermarlo. E rimandare i conti con il pianeta

I governi continuano a favorire le multinazionali del vecchio modelli, in barba all'emergenza climatica. E il paradosso è che si mette sotto accusa il piano europeo per la transizione, accusandolo di ideologismo. Ma verità è ben diversa
6 Marzo, 2025
7 minuti di lettura

Sto scrivendo questa pillola perché mi pare che da più parti e con più voci vengano appelli a una “transizione ecologica, non ideologica”, che contemperi l’aspetto ambientale con quello economico e sociale, come ha detto la presidente Meloni alla Cop 29 di Baku del novembre scorso: «È prioritario che il processo di decarbonizzazione prenda in considerazione la sostenibilità dei nostri sistemi produttivi e sociali. La natura va difesa con l’uomo al centro.

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Un approccio troppo ideologico e non pragmatico su questo tema rischia di portarci fuori strada verso il successo. […] Abbiamo bisogno di un mix energetico equilibrato per migliorare il processo di transizione. Dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie a disposizione. Non solo rinnovabili, ma anche gas, biocarburanti, idrogeno, cattura della CO₂ e, in futuro, il nucleare da fusione che potrebbe produrre energia pulita, sicura e illimitata».

Necessità economiche e ideologiche

E quindi ammorbidiamo le prescrizioni del Green deal europeo, spostiamo in avanti le deadline per la riduzione delle emissioni climalteranti, ricorriamo alla chimera nucleare. Insomma, ancora le esigenze dell’economia che deve continuamente crescere, perché un paese sia prospero. Tuttavia, risulta difficile pensare a qualcosa di più ideologico di questa affermazione, perché è fatta da chi ritiene che il Pil sia il suo faro, implicando che si possa avere una crescita indefinita in un mondo di risorse finite, come abbiamo più volte detto. Insomma, significa credere alle favole, posizione rispettabilissima se non fosse che è fatta propria da chi ci governa.

Il trionfo del nonsense

Per capire, anche visivamente, l’assurdità di questa posizione (maggioritaria, sia chiaro, purtroppo) utilizzo la figura, in cui schematicamente rappresento quello che dovrebbe esser il corretto approccio al problema, tenuto conto dei diversi ambiti. È evidente, o dovrebbe esserlo anche ai più incalliti economisti, che l’ambiente è il contesto che domina tutto, cioè quello in cui sia la vita sociale che l’economia sono inserite, e dal quale vengono condizionate. Invece, l’approccio attuale è prima economico e poi sociale e infine ambientale, mentre è chiaro che senza un ambiente in salute non esiste la vita sulla terra e meno che mai l’economia.

Transizione ecologica, non ideologica

Negoziazioni fallimentari

La cosa folle, e ideologica, è che gli stati europei stanno cercando di “negoziare” con gli organi della Ue una proroga all’entrata in vigore delle norme del Green Deal. Cioè si muovono tutti all’interno del contesto dell’economia, dimenticando il resto, come se l’economia potesse dettare legge all’ambiente. Invece è con l’ambiente che occorrerebbe negoziare, ma l’ambiente ci sta già dicendo «siete fuori tempo massimo, ulteriori dilazioni non posso concedervele». L’ambiente non negozia con noi, anzi gli umani sono un’escrescenza che, una volta tolta di mezzo, permetterà al Pianeta, con i suoi tempi (milioni di anni) di ritrovare un diverso equilibrio, con diverse specie viventi. Quella dei governi, di tutto il mondo, è quindi una politica stupida (nel senso che danneggia noi e l’ambiente, ma soprattutto noi), per non dire “dello struzzo”.

Cambiamenti necessari

Pertanto, occorre aprire gli occhi e cambiare il punto di vista, porsi come osservatore dall’esterno, sulla linea di quanto affermato da Einstein secondo cui «Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo». Quindi, dobbiamo smettere di ragionare all’interno della stessa logica che ci ha portato a questi sconvolgimenti climatici, se vogliamo affrontare veramente i problemi.

Creazione grafica, l'Unione europea su paesaggio collinare
Foto: Canva

Cambiamento di tipo due

È necessario, però, effettuare un cambiamento di tipo 2, secondo quello che affermava negli anni ’70 Paul Watzlawick (Change, del 1974, Astrolabio editore, è un libro di riferimento in questo senso e di lettura molto istruttiva) della scuola di Palo Alto, in California. Watzlawick sosteneva che esistono cambiamenti di tipo 1, all’interno delle regole del gioco, in cui, come diceva anche il Gattopardo «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Di fatto, nessuna vera soluzione. Invece, un cambiamento di tipo 2 è quello che supera le regole del gioco, va ad un livello logico superiore e trova soluzioni veramente innovative. Purtroppo, per essere affrontato in maniera innovativa, il problema dev’essere prima di tutto riconosciuto e vissuto come un problema: in caso contrario non avrebbe senso approcciarvisi.

La politica della distrazione

Invece, quello che la maggior parte dei governi di tutto il mondo sta facendo è dibattersi all’interno di regole ed azioni che lasciano tutti i problemi irrisolti e magari anche peggiorati, senza voler riconoscere quali sono i problemi effettivi. Si usano “distrattori” (molto efficaci politicamente!) come i problemi migratori o le altre questioni economiche. Avete notato che, nel linguaggio politico almeno italiano, l’ambiente è praticamente sparito? Un po’ ne parlavano le opposizioni, ma adesso neanche loro…

Un murale che rappresenta Donald Trump, ex presidente Usa repubblicano, tycoon negazionista e anti migranti (Foto: Pixabay)
Foto: Pixabay

Il mondo in contrasto con l’ambiente

Mentre ci si impegna in questa insulsa “contrattazione“ con l’Ue, a livello mondiale è continuata l’erogazione dei sussidi ai combustibili fossili. Un’analisi dell’International Institute for Sustainable Development (Issd) sulla base degli ultimi dati sui sussidi ai combustibili fossili, sugli investimenti di capitale da parte delle compagnie energetiche statali e sulla finanza pubblica internazionale nota che: “I flussi finanziari sono ben lungi dall’essere allineati con uno sviluppo resiliente e a basse emissioni di carbonio”. E queste somme dovrebbero invece andare a beneficio delle persone e del pianeta. I sussidi ai combustibili fossili forniti a livello mondiale nel 2023 ammontano ad almeno 1.500 miliardi di dollari. In questo modo, diventa irrealistico pensare di mantenere l’aumento di temperatura globale entro + 1,5° (e anzi stiamo già superandolo).

Un’altra follia politica globale

Cito un’altra follia, spinta dalla dissennata politica di Trump: «Ogni paese deve portare le spese per gli armamenti al 5% del Pil annuo». Se non con la guerra, quindi, ci sveniamo con le armi (e arricchiamo le solite lobby, quando non ci facciamo molto male da soli, con le guerre). E quindi, andiamo ancora nella direzione di spendere per distruggere, invece di costruire. E queste richieste vengono da un presidente no-vax, che sosteneva che contro il covid occorreva usare la idrossiclorochina (un antimalarico) e che non vuole regole e vuole trivellare a rotta di collo. Dicevano i Romani: “Si vis pacem para bellum, se vuoi la pace, preparati alla guerra …”. Però, da quando c’è memoria della storia, la preparazione delle guerre ha portato solo alle guerre. In caso contrario, da millenni sarebbe “scoppiata la pace”. Mettersi in armi significa avere la tentazione di usarle.

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Spese militari versus spese per la transizione

Nello scorso anno le spese militari a livello mondiale hanno raggiunto la cifra stratosferica di circa 2500 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 2.250 miliardi dell’anno precedente. Queste conclusioni sono riportate in un rapporto di questi giorni dell’International Institute for Strategic Studies, con sede a Londra. E dire che tutti i paesi più “abbienti” si sono stracciate le vesti, gridando contro la proposta di destinare 400 miliardi di dollari per il tema della finanza climatica, cioè ad un fondo con cui i Paesi più ricchi dovranno finanziare quelli più vulnerabili agli effetti della crisi climatica, che soprattutto i paesi più ricchi stanno contribuendo a determinare.

Il costo della transizione

Nessuno dice che i costi per raggiungere la neutralità climatica siano limitati, ma non sono nemmeno impossibili da sostenere. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, il raggiungimento di un’economia a zero emissioni di carbonio richiederebbe di spendere solo il 2% del Pil globale annuo oltre a ciò che già facciamo per il nostro sistema energetico. Concorde anche la valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) che riporta cifre analoghe.

Chi paga la neutralità climatica?

Però, tutti coloro che vanno avanti ideologicamente contro le spese per mitigare il cambiamento climatico ti ripetono la stessa cosa: «Allora li paghi tu i costi per la neutralità carbonica?». In realtà, io (e tutti noi) i costi della mancata neutralità carbonica li stiamo già pagando. I costi umani, sociali ed economici dei fenomeni estremi sono molto elevati: inondazioni, siccità, incendi, perdite nell’agricoltura, innalzamento del mare con isole e stati peninsulari sommersi (niente più Maldive, niente più Venezia…), alterazione della biodiversità eccetera.

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E sul medio-lungo periodo supereranno i costi della mitigazione, cioè della riduzione delle emissioni di gas serra. Tanto per fare un esempio recente, i danni dovuti agli incendi dei primi giorni di gennaio 2025 nell’area di Los Angeles, favoriti dalla siccità e dall’alterazione del regime dei venti, sembrano aggirarsi intorno ai 135 miliardi di dollari.

Costi o investimenti

In questa prospettiva, c’è da rettificare innanzitutto un termine: “costi” della transizione ecologica. È più corretto chiamarli “investimenti” che producono posti di lavoro, mettono in sicurezza il territorio, limitano le spese sanitarie (per malattie e morti per il calore o le avversità, per la diffusione di epidemie favorite dall’aumento di temperatura etc.) salvando così milioni di persone (e facendo “girare” l’economia). E, poi, se a pagare questi costi fossero gli evasori fiscali? Secondo il Ministero dell’economia, l’evasione fiscale in Italia sottrae il 4,1% del PIL, cioè circa 100 miliardi, più del doppio di quello che servirebbe per la neutralità climatica! Se si volesse affrontare veramente il problema, questo sarebbe un ottimo serbatoio di soldi a cui attingere.

Posizione di minoranza

Ma insomma, mi si può dire, solo tu pretendi di aver ragione? Si, credo di aver (purtroppo) ragione ma mi rendo conto che fare la Cassandra ha poco credito di questi tempi, in cui si percepiscono più i problemi economici del giorno per giorno che i problemi in una prospettiva, sia pure molto vicina (una decina di anni). La mia posizione è assolutamente minoritaria, ma se il mondo sta andando a scatafascio, ci si potrà anche chiedere se ci sono altre vie da percorrere, o no?

Soprattutto se siamo ecologisti estremi.

Post scriptum: È di questi giorni il precipitare della situazione relativamente alla guerra in Ucraina. Per difenderci e “mantenere la pace” si parla con disinvoltura di 250 miliardi di euro annui che l’Europa dovrebbe spendere per difendersi. Aggiungiamo un altro tragico paradosso: per vivere, siamo costretti a spendere per mantenere una macchina di guerra che, nella migliore delle ipotesi, non dovrebbe essere usata, sempre nella logica del “si vis pacem …”. E quindi, dobbiamo tagliare le spese per la sanità, l’istruzione, l’ambiente, il sociale eccetera morendo un po’ per giorno. Non ho soluzioni immediate, soprattutto in un mondo in cui domina la forza bruta, ma ha senso domandarsi se ci sono altre vie da percorrere, o no?

Mielizia

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Tommaso D'Alessio
Ambientalista da sempre, che ha letto, all’epoca, il libro "I limiti dello sviluppo", e quindi sta aspettando la catastrofe da cinquant'anni. Ma nonostante tutto, visto che serve "Pensare globalmente, agire localmente", affligge chi gli sta vicino con l’intento di ridurre i consumi, di tutto: cibo, acqua, energia etc. e non cessa di operare per il miglioramento dell’ambiente, soprattutto urbano, nel contesto di Legambiente. È Presidente del Circolo Garbatella di Legambiente che dal 2012 ha in affidamento il Parco Garbatella in Roma, un’area di 40.000 m2, che il Circolo gestisce senza nessun contributo da parte del Comune. Da queste pluriennali esperienze ha avviato la sua strada di ambientalista estremo.
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