Compirà dieci anni il prossimo 24 maggio (benché sia stata resa nota solo tre settimane più tardi, il 18 giugno) una delle più significative opere di papa Francesco, l’enciclica Laudato si’. Fin dall’inizio del suo pontificato, con la scelta di chiamarsi come l’autore del Cantico delle creature, Jorge Mario Bergoglio aveva lanciato un chiaro messaggio sull’ispirazione che avrebbe guidato il suo governo della Chiesa cattolica: semplicità, povertà, attenzione agli ultimi. Ma anche, o forse soprattutto, attenzione alla natura, alla relazione degli esseri umani con il Creato.
E alla nostra responsabilità come custodi di tutto ciò che vive sul pianeta.
Un’enciclica per educare
Papa Bergoglio, come spesso accade agli innovatori, aveva compreso presto che non sarebbe stato sufficiente comunicare delle direttive, dei dogmi per centrare la propria missione. Bisognava proporre una maniera diverso di pensare, costruire nuove competenze mentali e spirituali, ma anche pratiche: qualcosa che andasse al di là dei doveri del buon cristiano. E bisognava parlare a tutti, anche agli atei o a chi professava religioni diverse. In altre parole, aveva scelto di servirsi dello strumento dell’enciclica – ma non solo di quello – per educare al rispetto della natura.


Degrado ambientale, migrazioni, equità sociale
«L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta» (48). In queste poche righe si concentrava – in un momento nel quale la transizione ecologica sembrava soprattutto questione di tecnologia e di organizzazione – la visione di un mondo nel quale il benessere umano, pace, armonia sociale siano strettamente correlati al modo in cui modifichiamo l’ambiente e al male che facciamo alla nostra «casa comune»: «Vorrei osservare che spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale» (49).
E prima ancora: «È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa» (25). Qui, senza mezzi termini, metteva in relazione la salute dell’ambiente, le migrazioni, l’agire politico degli Stati, ma anche la responsabilità di ciascuno nel prendere coscienza e posizione su questi temi.
La decostruzione dello stereotipo dell’uomo dominatore
Un contributo fortemente educativo della Laudato si’ sta nella risposta alle polemiche che accusano il pensiero ebraico-cristiano di eccessivo antropocentrismo e di attribuire agli esseri umani un ruolo da dominatori. «Noi non siamo Dio. La Terra ci precede e ci è stata data» (67). E a seguire: «È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a “coltivare e custodire” il giardino del mondo. Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare.
Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura» (67). La Terra, casa comune di tutti gli esseri umani e di tutti i viventi, ci è data in prestito, in affidamento, perché possiamo goderne i beni ma anche perché ci impegniamo a prendercene cura. Tutto questo è sostenuto da una visione sistemica che consente, ad esempio, di mettere in relazione i cambiamenti climatici, le alterazioni che comportano nel ciclo dell’acqua, le loro conseguenze sulla biodiversità, e la povertà delle comunità umane, soprattutto nei Paesi già afflitti da gravi disuguaglianze.
L’ecologia integrale e la spiritualità ecologica
Se Francesco si fosse limitato a evidenziare il nostro ruolo di custodi e alle esortazioni al rispetto della Natura, non sarebbe andato oltre un pur valido rinnovo degli inviti dei suoi predecessori, peraltro richiamati nell’enciclica, a partire da Giovanni XXIII. Ma anche qui, con uno scatto coraggioso, il Papa metteva in chiaro che l’ecologia deve essere «ambientale, economica e sociale», come recita il titolo del primo paragrafo del capitolo quarto. E non risparmiava bordate all’economia basata solo sulla rendita finanziaria, alla cultura dello scarto e dello spreco, allo sfruttamento indiscriminato delle risorse: «Se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento» (195). Il debito che strangola molti Paesi e genera conflitti, non è solo economico, ma è un “debito ecologico” che andrebbe calcolato e confrontato con i profitti.


Narrazione di speranza
Tuttavia, in nessuna sua parte l’enciclica ha un tono unicamente negativo. La fede nell’uomo e nella scintilla divina che è in ognuno, sostiene l’intera narrazione con la speranza che una conversione ecologica dei singoli e delle società umane sia possibile: le risorse per attuarla sono già in ogni essere umano, dall’istintivo senso di amore e protezione per la bellezza del Creato, alla creatività e ai talenti che il Creatore ha messo in ciascuno, alla capacità di essere grati, all’«amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale» (220).
Messaggio universale
Papa Francesco ci ha lasciato un messaggio universale, con il quale ha dato a credenti e non credenti il coraggio e l’orgoglio di impegnarsi per una vera ed equa transizione ecologica, e anche qualche attrezzo mentale per poterlo fare. Una voce che mancherà terribilmente in un momento in cui i potenti della Terra, in nome del potere e del profitto, abbandonano o rinnegano gli impegni già presi per la lotta ai cambiamenti climatici, per la transizione energetica, per il risanamento ambientale.


Un messaggio che sopravvive al suo autore, e che ancora potrà costituire una bussola per le persone – laiche o religiose – che si sentono impegnate nella cura di Madre Terra.