«Raccontare una grande storia con un piccolo pennello» è la sfida dichiarata di Silvio Soldini per il suo nuovo film, Le assaggiatrici, tratto dal best seller di Rosella Postorino, dal 27 marzo nelle sale, dopo l’anteprima della scorsa settimana al Bifest di Bari. Un pennello rembrandtiano, capace di restituire sguardi, dettagli, gesti, segreti, pulsioni, fanatismo, terrore.


La paura della grande guerra che stermina e bombarda a tappeto e la paura quotidiana di morire per aver mangiato il cibo avvelenato destinato al Führer.
Storia vera
Era il 2012 quando la novantacinquenne berlinese Margot Wölk rivelò in un’intervista di essere stata una delle “assaggiatrici” di Adolf Hitler, al quartier generale della Tana del Lupo, nelle foreste della Prussia orientale. Quindici giovani donne prelevate ogni giorno dai loro villaggi, costrette a mangiare le pietanze destinate a Hitler, terrorizzato dall’idea di poter essere avvelenato.
Donne in guerra
Così, inatteso, la Storia scopriva un piccolo sconosciuto tassello nel grande quadro della Seconda guerra mondiale. Piccolo come sono spesso le storie delle donne in guerra: corpi, spesso abusati. Wölk fu l’unica a sopravvivere alla guerra e, tanto nel film come nel libro (uscito nel 2018, vincitore del Campiello e tradotto in 32 lingue), è il suo sguardo che ci conduce nel claustrofobico mondo livido delle assaggiatrici attraverso gli occhi della protagonista Rosa Sauer, giovane segretaria berlinese che, su consiglio del marito, si trasferisce dai suoceri, in campagna. Gregor è sul fronte orientale e Rosa, la “cittadina” che nel film ha il volto intenso e luminoso di Elisa Schlott (l’abbiamo vista ne L’imperatrice su Netflix), comincia la spola che ogni giorno la costringe a mangiare piatti deliziosi, rigorosamente vegetariani, che potrebbero uccidere lei e le compagne come topi.


Gli autori
Con coraggio, i produttori Cristiana Mainardi e Lionello Cerri hanno attraversato la pandemia e atteso i tempi necessari ad una coproduzione internazionale italo-belga-svizzera, optando per il grande schermo rispetto alle piattaforme e per un cast di attori tutto tedesco e ineccepibile: il consiglio, dunque, è di vedere il film in versione originale laddove è possibile.
Soggetto e sceneggiatura sono invece italiani, con Cristina Comencini, a cui era inizialmente destinato il progetto, a nutrire la squadra degli autori (Doriana Leondeff, Lucio Ricca, Giulia Calenda, Ilaria Macchia e lo stesso Soldini), mentre Mauro Pagani firma la colonna sonora, ispirata alla musica tedesca di metà Ottocento, cupo commento di archi che scandisce la scansione temporale della vicenda, evocando la tragedia bellica che questa “piccola” storia non svela.
Mondo senza calore
Con l’attenzione che da sempre riserva all’universo femminile, Soldini, per la prima volta alle prese con un film d’epoca e per la seconda, dopo Brucio nel vento girato in lingua ceca, con un set straniero, confeziona un’opera corale, dolente, intensa, magistralmente fotografata da Renato Berta e ricreata dalle scene di Paola Bizzarri: un mondo grigio-azzurro, cereo, spoglio di vita e di calore. «Ero preoccupato – ha raccontato – di non riuscire a restituire la verità. La verità del momento storico e del dramma di queste giovani donne realmente vissute».


Umanità in briciole
Con le mani affondate nella terra della vecchia suocera, Herta comincia il film e con quelle sporche di sangue di Rosa si conclude, sul treno che la riporterà a Berlino, unica superstite di tutto il gruppo. Mani che aspettano, inforcano, tagliano, segnano il tempo immobile che separa un pasto dall’altro, mani che fremono, chiedono e abbracciano, ritmano il tempo che invece, inesorabile, trascorre: Rosa la forestiera che pian piano fa amicizia, soprattutto con Leni e Elfried, misteriosa, silenziosa e caustica; Gregor che è disperso in Russia e lascia solo pochi ricordi e una fotografia; l’arrivo del micidiale tenente Ziegler (il bravo Max Riemelt che abbiamo visto anni fa ne L’onda e nella serie Netflix Sense 8) che risveglia in lei voglia di vita e di relazione, vergogna e colpa.
E ancora, l’attentato a Hitler del ’44 che fa deportare le ragazze per quattro mesi nella Tana del Lupo, con le SS ancora più brutali; la solidarietà femminile e il tradimento, i segreti inconfessabili e i gesti eroici, per salvare anche solo un briciolo dell’umanità travolta dall’obbedienza.
Microcosmo silenzioso
Il microcosmo silenzioso e trattenuto de Le assaggiatrici si allinea alle opere recenti che hanno scelto di raccontarci frammenti altrettanto “piccoli” e marginali di quella immane tragedia che è ogni guerra: la parabola affamata e nostrana del Treno dei bambini della stessa Comencini, le confessioni dolorose de L’Ombra del giorno di Piccioni, le difficili scelte interiori di Campo di battaglia di Amelio. Su tutti, lo sguardo sinistro e sonoro de La zona di interesse di Glazer, lo scorrere quotidiano inattaccabile e follemente ignaro accanto all’indicibile.


Non è semplicemente folle tornare ad osannare l’“inevitabilità” delle armi?
Le assaggiatrici
Regia di Silvio Soldini, dal romanzo omonimo di Rosella Postorino.
Con Elisa Schlott, Max Riemelt, Alma Hasun, Emma Falck, Olga Von Luckwald, Berit Vander, Kriemhild Hamann, Thea Rasche
- Al cinema dal 27 marzo