Julian Assange è atterrato in Australia e si è riunito alla sua famiglia dopo essersi dichiarato colpevole di uno dei diciotto capi d’accusa contestati dagli Stati Uniti. Era accusato, ricordiamo, di aver divulgato documenti che comprovavano i crimini di guerra commessi dagli Usa in Afghanistan e in Iraq dopo l’11 settembre. Dopo 14 anni di persecuzione giudiziaria e cinque di carcere duro nella prigione britannica di Belmarsh, alla fine di maggio una sentenza del tribunale di Londra gli aveva concesso la facoltà di contestare l’ordine di estradizione emesso dagli Usa. Avrebbe quindi potuto presentare appello nelle sedi giudiziarie britanniche (fino alla Corte europea dei diritti umani). Il caso giudiziario avrebbe potuto protrarsi ancora a lungo, motivo per cui, secondo diversi osservatori, Usa e Regno Unito hanno intrapreso la strada di un accordo con gli avvocati di Assange.
Il caso Assange è un «attacco al giornalismo, è un attacco al diritto del pubblico di sapere, e non avrebbe mai dovuto essere portato avanti» ha ribadito Stella Morris, la moglie del giornalista, in conferenza stampa.
Secondo Riccardo Noury, di Amnesty international Italia «Il team legale di Assange ha agito nel migliore interesse del proprio cliente, con l’obiettivo di salvargli la vita, data la gravità delle sue condizioni di salute mentale e fisica. Resta il fatto che questa persecuzione giudiziaria da parte degli Stati Uniti, senza precedenti e con la complicità di altri Stati, non avrebbe mai dovuto iniziare. Rimane il messaggio minaccioso nei confronti di chi vorrà seguire l’esempio di Assange, rivelando informazioni su crimini di guerra di rilevanza e interesse pubblico. Il messaggio è chiaro: attenzione a ciò che fate».
Stella Morris ha ringraziato tutti coloro che si sono mobilitati per la libertà di Assange in questi anni, mentre Amnesty suggerisce di mandare gli auguri ad Assange per il suo compleanno il prossimo 3 luglio. È attiva anche una raccolta fondi per coprire le spese del rientro in Australia di Assange.
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