Luis Sepúlveda e Bruno Arpaia si sono incontrati molte volte. Qui sopra, al Dedica festival di Pordenone nel 2015
Luis Sepúlveda e Bruno Arpaia nella loro lunga amicizia si sono incontrati molte volte. Qui sopra, al Dedica festival di Pordenone nel 2015

Lucho e io. Sepúlveda nelle parole di Bruno Arpaia

Una lunga amicizia ha legato Bruno Arpaia a Luis Sepúlveda, lo scrittore cileno scomparso due giorni fa in Spagna. Una testimonianza raccolta in punta di piedi per conoscere meglio entrambi, a partire da una conversazione pubblicata quasi vent'anni fa
18 Aprile, 2020
3 minuti di lettura

Larga parte della loro avventura umana sta dentro “Raccontare, resistere”, la conversazione che Guanda ha pubblicato nel 2002, centoquaranta pagine che si leggono tutte d’un fiato e che permettono di conoscere l’uno e l’altro. Anzi, che permettono d’intravedere una terza figura che scaturisce dall’impasto intellettuale, affettivo e militante – nel senso che si dava a questo termine qualche generazione fa – tra Bruno Arpaia a Luis Sepúlveda. «Quel volume era il seguito di molte conversazioni che avevamo fatto negli anni precedenti insieme a diversi amici comuni che invece di vivere di ripicche, come spesso accade nel mondo letterario, si stimavano e si aiutavano…» racconta Arpaia.

 

Guarda un dialogo fra Bruno Arpaia e Luis Sepúlveda a Dedica Festival (Pordenone) nel 2015

 

Non è un discorso facile quello che proviamo a fare con lui, artefice di molteplici romanzi (l’ultimo, “ll fantasma dei fatti”, è uscito poche settimane fa sempre per il fedelissimo Guanda ma ricordiamo almeno il precedente “Qualcosa, là fuori” centrato, con grande poeticità, sul tema delle migrazioni ambientali), saggista e traduttore profondamente legato alla cultura latino-americana. Perché insieme a Lucho, come lo chiamavano gli amici, l’altro ieri se n’è andata evidentemente una stagione nella quale i rapporti contavano, non erano semplici “mi piace” via social. Si varcava l’Oceano per coltivarli:

«Il nostro era un gruppo distribuito nel mondo, viaggiavamo per vederci magari in qualche festival come Semana negra, in Spagna, o durante le presentazioni dei libri. Tutto ruotava intorno al messicano Paco Ignacio Taibo ma c’erano Leonardo Padura da Cuba, i nostri Pino Cacucci e Carlo Lucarelli, tanti altri autori di romanzi gialli dall’Argentina, dalla Russia, dalla Germania».

E poi quello che sarebbe diventato l’amico di una vita, il guerriero dell’arcobaleno vicino a Greenpeace, il rivoluzionario perseguitato e fuggito dal Cile di Pinochet ma presto in rotta anche con la parte politica in cui s’era riconosciuto, almeno in gioventù. Indomabile fino all’ultimo, come si conviene al nipote di un anarchico: «Avevamo già allora la stessa casa editrice, Lucho veniva spesso in Italia e i suoi libri li presentavo io, qui a Milano, poi si andava a cena insieme, frequentavamo la stessa casa. E si chiacchierava a lungo sui temi che gli erano più cari, la letteratura, la vita politica, la società, l’ambiente, tutto con uno spirito di fratellanza fra scrittori che per lui contava moltissimo, nel segno della responsabilità etica che deve tenere insieme vita e scrittura».

 

 

Sei mesi fa nel capoluogo lombardo, durante la festa per il 70esimo compleanno organizzato ancora una volta da Guanda, l’ultimo incontro: «Continuavamo a vederlo ogni tanto nel nostro paese, è stato bello ritrovare intorno a Lucho tutta la sua comunità, grazie anche ai suoi editori inglesi e francesi. Era pieno di gente ma siamo riusciti a parlare un po’, anche della prossima edizione del festival “Encuentro” a giugno sull’isola Polvese: mi aveva assicurato che sarebbe venuto, poi abbiamo cantato “Volver” a squarciagola».

Ma dagli anni di cui si racconta in quell’intervista a oggi, prima e dopo l’inizio del nuovo millennio, dall’epoca delle lotte sociali e quella delle lotte via social, com’era cambiato il suo interlocutore?

«Poco, davvero. Lucho era molto coerente, continuava a indignarsi e a incazzarsi, l’ultimo romanzo su cui stava lavorando era contro le multinazionali della pesca nel Cile del sud, dove i salmoni si allevano con gli antibiotici. Temi e battaglie, certo, che adesso affrontava con la saggezza degli anni».

Molti ricollegano la sua figura al romanzo più noto, la “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, un piccolo capolavoro di dolcezza e motivazione ambientalista che ha segnato, grazie alla regia di Enzo D’Alò anche la riscossa del cinema italiano d’animazione. «Ecco, questa è una cosa che un po’ mi stizzisce. Perché questo è il romanzo che ha avuto più successo, grazie al quale molti giovani si sono formati, ma Lucho attraversa tutti i generi letterari, il racconto, il romanzo, la poesia, la fiaba».

 

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E allora qual è una lettura che Arpaia ci consiglia per scoprire un Sepúlveda meno noto? «I suoi racconti, certamente, un genere negletto perché considerato minore. Invece è il più difficile, nel quale io non mi sono mai azzardato. Lui citava spesso Julio Cortázar, che diceva: “Il romanzo, come in un incontro di box, può vincere ai punti. Invece il racconto deve vincere per ko”. In questo Lucho era bravissimo, dava il meglio di sé grazie alla sua grande capacità di sintesi, alla scrittura fortemente visiva che praticava, per immagini molto eloquenti: gli bastava un accenno e capivi una serie di sfumature, nei suoi racconti questo viene fuori come in nessun’altra delle sue produzioni».

Mielizia

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Marco Fratoddi
Marco Fratoddi, giornalista professionista e formatore, è direttore responsabile delle riviste Sapereambiente e Terraneamagazine. Insegna Scrittura giornalistica al Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Cassino con un corso sulla semiotica della notizia ambientale e le applicazioni giornalistiche dei nuovi media dal quale è nato il magazine studentesco Cassinogreen. Insegna inoltre Comunicazione ecologica presso la Pontificia Università Antonianum di Roma. Partecipa come direttore artistico all'organizzazione del Festival della virtù civica di Casale Monferrato (Al), ha promosso la nascita del Festival europeo di poesia ambientale e del Poetry Village di Roma. Ha diretto dal 2005 al 2016 “La Nuova Ecologia”, il mensile di Legambiente, dove si è occupato a lungo di educazione ambientale e associazionismo di bambini, è stato fino al 2021 caporedattore del magazine Agricolturabio.info e fino al 2019 Direttore editoriale dell’Istituto per l’ambiente e l’educazione Scholé futuro-Weec network di Torino. Ha contribuito a fondare la “Federazione italiana media ambientali” di cui è divenuto segretario generale nel 2014. Fa parte di “Stati generali dell’innovazione” dove segue in particolare le tematiche ambientali. Fra le sue pubblicazioni: Salto di medium. Dinamiche della comunicazione urbana nella tarda modernità (in “L’arte dello spettatore”, Franco Angeli, 2008), Bolletta zero (Editori riuniti, 2012), A-Ambiente (in Alfabeto Grillo, Mimesis, 2014), Tre domande sull'economia circolare (Mdc, 2024).
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