Eugenio Montale (1896-1981), ritratto
Eugenio Montale (1896-1981)

Le parole tra noi leggere, ovvero (ri)scoprire Montale al Lingotto

Il titolo della prossima edizione del Salone del Libro di Torino, al 15 al 19 maggio, cita i versi del grande poeta ligure, Nobel per la letteratura nel 1975. A 100 anni dalla pubblicazione di "Ossi di seppia", l’occasione per un breve excursus nella sua opera
20 Febbraio, 2025
6 minuti di lettura

Mettere la parola al centro con una speciale forma di serietà leggera o di leggerezza seria. La scelta del titolo della prossima edizione del Salone del Libro di Torino, Le parole tra noi leggere, è spiegata così dalla direttrice editoriale Annalena Benini. Una doppia citazione, che trae origine in primis dai versi 28-29 (“…le parole/ tra noi leggere cadono”) della poesia Due nel crepuscolo di Eugenio Montale, contenuta in La bufera e altro, raccolta pubblicata nel 1956, per poi divenire titolo dell’omonimo romanzo della scrittrice cuneese Lalla Romano, vincitore del Premio Strega nel 1969 e apprezzato dal poeta ligure.

Le parole tra noi leggere al Lingotto

L’edizione si terrà al Lingotto dal 15 al 19 maggio e Benini ha già annunciato alcuni ospiti, tra cui la drammaturga Yasmine Reza che terrà la lezione inaugurale, gli olandesi Jan Brokken e Ilja Leonard Pfeijffer (l’Olanda è il paese ospite di quest’anno) che dialogheranno con Christian Greco. E ancora, Joël Dicker con il nuovo libro, Valérie Perrin, la giapponese Rie Qudan con un romanzo scritto in parte con l’AI e il connazionale filosofo dell’ecologia Saitō Kōhei, l’israeliano Etgar Keret, la palestinese Adania Shibli, il bulgaro Georgi Gospodinov e l’indiscusso re del legal thriller, l’americano Scott Turow.

Quella speciale serietà leggera

Parla dunque di una speciale forma di serietà leggera o di leggerezza seria, la giornalista del Foglio giunta alla seconda direzione del SalTo. E l’accostamento a mo’ di apparente ossimoro non può che fare piacere, in anni che, complici le citazioni abusate, velocizzate, male estrapolate, banalizzate dal tam tam dei social, hanno visto (e vedono) stravolgere il senso logico della frase di un altro grande letterato del ‘900, ossia la calviniana leggerezza, quel “planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore” (mal)inteso proprio come la superficialità che lo stesso Calvino aborriva.

La modernità di Montale

E quindi, sebbene nella poesia Due nel crepuscolo, da cui la frase è tratta, Montale esprimesse malinconia più che leggerezza (e, probabilmente, più che malinconica leggerezza), nell’anno in cui ricorre il centenario di Ossi di seppia (la prima raccolta poetica di Montale, pubblicata il 15 giugno a Torino da Piero Gobetti), il titolo della nuova edizione del SalTo può rappresentare (anche) la buona occasione per (ri)scoprire il poeta e scrittore ligure, premio Nobel per la letteratura nel 1975. La modernità di Montale, che prende subito le distanze dalla definizione di ermetismo, dato che per lui la poesia era per sua stessa natura ermetica, è chiara da subito allo spirito giovane e colto di Gobetti. E d’altra parte è così, ancora, cento anni dopo: appare straordinaria la sensibilità ecologica (intesa nel significato più ampio) di Spesso il male di vivere ho incontrato, in cui il dolore è un’esperienza universale, comune a tutte le creature viventi, che si tratti di un ruscello che a stento fluisce per la ristrettezza delle sponde, di una foglia secca e bruciata dalla calura, di un cavallo crollato a terra morto.

Limoni, ovvero lo strappo dichiarato

Modernità e innovazione per Montale non possono prescindere dal ponte, sempre presente, con il passato; Dante, Petrarca, Leopardi, visibilmente presenti nella struttura delle sue opere. D’altra parte, come sottolinea nell’introduzione a Nel nostro tempo, collage di interviste, interventi, pensieri raccolti dal filosofo Riccardo Campa e pubblicati nel 1972 da Rizzoli, «tutti gli strappi sono contemporanei», e lui di quella necessità di strappare per creare nuovo spazio, nuova visione, si era fatto sin dagli inizi portatore. Limoni, una delle prime poesie di Ossi di seppia, si apre proprio con un proclama, la dichiarazione di una ricerca altra, che parte dando del tu al lettore:

«Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni

(…) 

Da Ossi di seppia e La bufera e altro

Una compresenza, quella tra passato e un presente che anela al futuro, tra legame con le grandi opere fondatrici e ricerca di una parola nuova, che caratterizza tutta la sua produzione. Se Ossi di seppia, con le sue 23 liriche che alternano brevità a testi più lunghi, ha in sé una struttura musicale (Montale fu anche critico musicale), La bufera e altro, terzo grande capitolo della sua opera poetica dopo Le occasioni, introduce, dietro lo schermo dantesco della figura femminile ispiratrice e custode, una sintassi più complessa che va di pari passo con l’irruzione del presente, della Storia, ossia della seconda guerra mondiale e dello sconvolgimento che porta, evocata già nella bufera del titolo.

Nel nostro tempo, Montale in prosa

Lo sguardo nuovo di Montale presta particolare attenzione alle tematiche della modernità; dalla tecnologia al lavoro, dalle masse (e conseguente massificazione dei prodotti culturali) all’arte (e al rischio che doventi prodotto). La fabbrica delle macchine, scrive nel sopra citato Nel nostro tempo, non ha in sé nulla di diabolico, essendo di fatto un prolungamento della mano dell’uomo, dunque in sé teoricamente neutrale. Eppure il poeta ha già intuito i rischi del progresso tecnologico accelerato e punta il dito contro la perdita di qualità dell’uso del tempo quando si domanda se, davanti ad una massificazione tecnologica il rischio sia che: «un’immensa orda di uomini obbligati al divertimento per dovere sociale non diventi immenso semenzaio di nuovi arrabbiati». Un passaggio che, letto negli anni degli haters, sconvolge per la sua preveggenza.

Il Nobel per la letteratura

«Per mio conto, se considero la poesia come un oggetto ritengo ch’essa sia nata dalla necessità di aggiungere un suono vocale (parola) ali martellamento delle prime musiche tribali. Solo molto più tardi parola e musica poterono scriversi in qualche modo e differenziarsi. Appare la poesia scritta, ma la comune parentela con la musica si fa sentire». L’estratto è parte del (bellissimo) discorso che Montale tenne nel 1975, quando ritirò il premio Nobel per la letteratura. La parola ha per Montale valore assoluto in quanto (e non anche) musicale, essenziale: «Ancora nelle prime saghe nibelungiche e poi in quelle romanze, la vera materia della poesia è il suono. Ma non tarderà a sorgere con i poeti provenzali una poesia che si rivolge anche all’occhio. Lentamente la poesia si fa visiva perché dipinge immagini, ma è anche musicale: riunisce due arti in una».

È ancora possibile la poesia?

Il titolo del discorso era È ancora possibile la poesia?, domanda retorica ed escamotage con cui il poeta percorre spazio, tempo e logica per comporre un quadro esistenziale ed epistemologico, con un linguaggio coinvolgente. Per comprendere meglio la risposta che il poeta (si) dà, è bene ricordare quanto la parola, così importante, essenziale per la poetica montaliana, rischi per Montale di essere svuotata dall’eccesso di mezzi espressivi contemporanei (siamo a metà anni ’70): «Evidentemente le arti, tutte le arti visuali, stanno democratizzandosi nel senso peggiore della parola. L’arte è produzione di oggetti di consumo, da usarsi e da buttarsi via in attesa di un nuovo mondo nel quale l’uomo sia riuscito a liberarsi di tutto, anche della propria coscienza».

Massa, tecnologia, futuro: un’analisi lungimirante

E ancora: «Le comunicazioni di massa, la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza successo di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione. Il tempo si fa più veloce, opere di pochi anni fa sembrano «datate» e il bisogno che l’artista ha di farsi ascoltare prima o poi diventa bisogno spasmodico dell’attuale, dell’immediato». In questa analisi estremamente lucida e lungimirante, Montale si chiede quale sia il posto «della più discreta delle arti» la poesia, appunto, «in tale paesaggio di esibizionismo isterico». L’arte tecnicamente alla portata di tutti, perché teoricamente bastano una matita e un foglio di carta è probabilmente destinata, proprio per la sua natura, all’eternità. La crisi dell’espressione artistica o sedicente tale, per l’autore di Ossi di seppia è strettamente legata alla condizione umana, e, ancora una volta rivelando un’avveniristica coscienza eco-critica: «(…) alla nostra certezza o illusione di crederci esseri privilegiati, i soli che si credono padroni della loro sorte e depositari di un destino che nessun’altra creatura vivente può vantare».

La seria leggerezza che vogliamo

In quest’ottica, quindi, è un inutile vezzo chiedersi quale sarà il destino delle arti, perché sarebbe come chiedersi se gli esseri umani del futuro saranno in grado di risolvere le «tragiche contraddizioni» in cui da sempre sono ingabbiati. E d’altra parte lui stesso apre il discorso bilanciando, più o meno, il suo stesso pessimismo con un’ammirevole dose di (auto) ironia: «Sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà. Ma non è il solo, essendo la poesia una produzione o una malattia assolutamente endemica e incurabile».

La seria leggerezza di cui abbiamo bisogno.

Mielizia

Saperenetwork è...

Valentina Gentile
Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.
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